Septicflesh – The Great Mass

Che razza di creatura sono i Septic Flesh (d’ora in poi Septicflesh) e The Great Mass non fa altro che ribadirlo. Se dovessi citare cinque gruppi tra le mie preferenze assolute, molto probabilmente loro finirebbero chiamati in causa. Li seguo dai tempi di Esoptron e, ancora oggi, mi domando come diamine facciano a non sbagliare mai un colpo. La loro evoluzione ha dell’incredibile: sono passati, come se nulla fosse, da un oscuro e ancestrale death metal a un sinfonismo gotico del tutto peculiare, senza mai perdere né la propria identità né quel senso di stile forgiato con cura negli anni.

E di anni ne sono passati parecchi. Sono diversi ormai i dischi trascorsi dal “rivoluzionario” Revolution DNA; anni che hanno visto fiorire una nuova giovinezza compositiva e, soprattutto, anni che hanno regalato ai Septicflesh un seguito giusto e meritato. Sumerian Daemons prima, Communion poi. Entrambi hanno prima stupito e poi persuaso tantissime persone a seguirli ciecamente. E il qui presente The Great Mass rappresenta quasi un “riassunto” di tutto ciò che i Septicflesh sono stati nel tempo.

Ma la formazione greca non si limita a compiacersi del proprio passato. E’ perfettamente consapevole dei tempi e delle esigenze che cambiano, e lì si adatta. Lo fa ancora una volta grazie a quella tipica creatività innata che da sempre li accompagna come fedele compagna di viaggio. Il risultato appare, ancora una volta, naturale, mega-sinfonico, mistico e dannatamente al passo con l’attuale mercato discografico. Ma con questo non voglio certo alludere a una qualche forma di “svendita”: molte delle soluzioni presenti in The Great Mass erano già nelle loro corde oltre dieci anni fa. Anzi, le loro tipiche, calde e sensoriali melodie dei primi dischi sono ancora ben presenti in brani come The Vampire from Nazareth (ascoltate il break a metà canzone per credere), Pyramid God, Rising e Therianthropy, un brano, a mio avviso, epocale, simbolo dei “nuovi” Septicflesh, ma intriso dello “spirito arcano” di un tempo.

È una produzione magistralmente potente e pulita ad accoglierci sulle note di The Vampire from Nazareth. Una canzone che introduce il disco in maniera eccezionale, mettendo in mostra il lato epico, quello sinfonico e infine quello sognante dei cari vecchi tempi. Lo stacco a metà brano è la prima, lampante dimostrazione di maestosa superiorità (“We offer the sun!“). Segue poi la title track, dispensatrice di sfarzosità grazie a parti monolitiche e intrecci vocali da antologia (growl/pulito maschile contrapposti all’operistico femminile).

Le nuove composizioni dei Septicflesh danno da subito un senso di completezza. Il sound è ricchissimo, eppure è tutt’altro che semplice incasellare la loro musica in una definizione precisa, tanto i Nostri si rifiutano di offrire un appiglio concreto al quale aggrapparsi. Pyramid God è un’ottima canzone circolare, dove le chitarre inneggiano continuamente alla loro essenza, mentre Five-Pointed Star mostra il lato più violento e “cinematografico” dell’album (da sottolineare le splendide strofe e le aperture sinfoniche che ricordano immediatamente i Therion).

Oceans of Grey è uno dei piatti forti del disco (assieme ai brani di apertura e chiusura). Intensità e tragicità che vedrei splendidamente esibite a teatro. The Undead Keep Dreaming è forse – a conti fatti – il pezzo più debole, ma diamine, fossero tutti così i brani “meno riusciti”! (E quella litania con cui viene recitato il titolo del pezzo, ogni tanto, mi torna in mente a tormentarmi piacevolmente). Con Rising si sogna: splendidi intarsi chitarristico-vocali, tanto semplici quanto perforanti. Apocalypse basta da sola col suo ritornello a saziare la mia costante fame nei loro confronti, mentre Mad Architect rappresenta un altro puntello di bizzarra varietà: andamento claudicante, fai–disfa–rifai, il titolo dice praticamente tutto. Therianthropy è la conclusione perfetta: una canzone in grado di catturare, soggiogare e “incenerire”, tanta è la sua bellezza. I Septicflesh chiudono cantando pura poesia. Inutile aggiungere altro.

Se pensate però di capire The Great Mass con due “miseri” ascolti, vi sbagliate di grosso. Potrebbe addirittura deludervi inizialmente, ma, col tempo (si spera), saprà insediarsi nel vostro sistema come si deve. Questo processo di maturazione è avvenuto anche dentro di me, che mastico la loro musica da sempre. Ci troviamo davanti a uno di quei rari casi in cui qualcosa di già positivo si nutre poco a poco fino a raggiungere l’eccellenza. Persino i risultati numerici a fine recensione ne risentono, inevitabilmente, nonostante l’ingombrante discografia passata reclami – e non con troppa gentilezza – il rispetto che le è dovuto.

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Riassunto

Season of Mist (2011)

Tracklist:

01. The Vampire From Nazareth
02. A Great Mass Of Death
03. Pyramid God
04. Five-Pointed Star
05. Oceans Of Grey
06. The Undead Keep Dreaming
07. Rising
08. Apocalypse
09. Mad Architect
10. Therianthropy

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