Humanus Hostia – Destined to Die

Rimasi a dir poco sorpreso circa cinque anni orsono quando scoprii il debutto Nostalgica, ovvero quella rara gemma underground che vorresti incontrare con più frequenza nell’arco di una breve e sola annata. Riposi così non poche speranze nel monicker Humanus Hostia, sperano un seguito da lì a poco, seguito che ha dovuto aspettare per l’appunto un “simpatico” lustro (anche se l’album è stato registrato nel biennio 2013/14), seguito che si presenta –purtroppo- in veste autoprodotta ma non per questa meno bella rispetto alla curata edizione stampata dalla mitica Le Crépuscule du Soir Productions.

Così si arriva a Destined to Die (per il momento stampato in sole 100 copie digipack) e alla sua copertina che subito ci riporta alle sensazioni del grande debutto. Il black metal proposto si aggira ancora su strutture melodiche e dilatate, a questo giro ancor più oniriche e in qualche modo “pensate meglio”. C’è molta cura, molta pazienza, si predica “il saper aspettare”, è un bombardamento ovattato che non presenta sintomi visibili, musica volta all’anima, e al senso di “celato”che ne può –di rimando- conseguire. S (l’unica mente dietro al progetto) sa di certo come creare strutture vincenti, la musica Humanus Hostia parla veramente chiaro (anche se cerca di nascondersi in determinati aspetti), capisci subito di trovarti di fronte ad un qualcosa di ben definito e dal giusto peso, un traguardo raggiunto badando alla concretezza, senza mai pensare oltre a determinati confini che quasi arrivano a rappresentarne l’innata e definitiva forza.

Agisce come malinconica pioggia la prima in scaletta Destined, melodie vaganti e percettibile/strisciante bidimensionalità a dettar legge. Emptiness batte invece su movimenti stranianti (ma non viene tralasciato il gusto tipico Humanus Hostia) prima della battente “sospensione” della perla denominata Tystnad. La forza degli Humanus Hostia esce fuori anche durante i brani più corti come possono essere I Gave My Time (fascino magnetico notevole) o The Dying Bird ma non smette di agire quando il pezzo allunga la sua vita come nel caso di Fantom (praticamente un manifesto ideale del disco) o sugli echi di Run. Non verrà neppure omesso il lato unicamente strumentale, a questo giro avremo la sola In Solitude, nove minuti posti in chiusura del tutto non a caso. Gusto ed atmosfera andranno a braccetto lasciandoci la voglia di rivivere immediatamente questo piccolo mare di emozioni chiamato Destined to Die.

La foto di copertina come ambiente ideale per colori e sensazioni, aspetti che si formeranno con insidiosa quiete, come lo spostamento di una coltre di nubi pronta a rivelare un nuovo ed intrusivo stato d’umore. Destined to Die agisce con qualità sulle dispersioni, non raggiunge alcuni apici presenti sul debutto ma alla fine arriva certamente a bissarlo per quanto concerne il valore generale.

E alla fine è giusto lasciarci con l’unica frase impressa sul digipack oltre ai titoli: “We as humans, tend to not think about the fact that..from the day that we are born, we are destined to die.” Senz’altro un ottimo collante, buon ascolto.

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Summary

Autoproduzione (2016)

Tracklist:

01. Destined
02. Emptiness
03. Tystnad
04. I Gave My Time
05. Fantom
06. Run
07. The Dying Bird
08. In Solitude