Signore e signori, la soffocante estate del dystopian computer metal prosegue alla grande: dopo Lindemann e Fear Factory, ecco l’irruzione – impetuosa come un fulmine a ciel sereno – del monicker Die Krupps.
Una graditissima sorpresa, dovuta non tanto alla sempre eccellente qualità del combo tedesco (…voilà, rinfrescatevi la memoria! ) ma piuttosto per mia negligenza professionale: devo infatti ammettere di avere appreso all’ultimo minuto (tack vare Duke ‘Selfish’ Fog) la notizia di tale eccitantissimo come back.
Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa… ma cosa ci posso fare? Ultimamente la mia attitudine social sta inesorabilmente tramutandosi in conati di vomito continui. Bombardato da lungimiranti soluzioni populiste volte a risolvere in fretta e furia il dramma dell’immigrazione, ignorandone però le reali origini (fatevi coraggio, democratici leoni da tastiera, il vostro incubo è appena iniziato… sintonizzatevi sul TG5! ) e circondato da improvvisati youtubers dell’ultim’ora, i quali – in eurovisione dalle loro regge più o meno sfiziose – tutorializzano e recensiscono qualsiasi stronzata capiti a tiro, vantandosi dell’ormai acquisita posizione di critici a tutto tondo; ecco brevemente giustificato il mio decaduto interesse nel rimanere connesso al sopracitato ‘giro che conta’.
Metal machine music, si diceva. La rabbiosa poesia di Lou Reed (Rest In Pain, motherfucka! ) che incontra la sapiente regia di George Miller, per plasmare l’ennesimo doomsday scenario dei giorni nostri.
Affilate lame di synth ( l’irresistibile opener Kaltes Herz) e roboanti building crushing riff (Battle Extreme) sono pronte a risucchiarci nel turbinio del nuovo (?) millennio, delineando una società sempre più allo sbando, paurosamente frammentata in clan dominati da brutali dittatori, schifosi monopolizzatori di risorse naturali ed energetiche, sempre pronti a schiavizzare una popolazione che – come di consueto – vive in basso, ingerendo austerità, merda e troika, pagando spesso colpe non proprie.
Un mondo violento in cui i combattenti, ripugnanti terroristi completamente soggiogati in un’infinita routine di sensi di colpa, stolto esibizionismo e venerazione mistica, troverebbero secolari “inni kamikaze” tra le note dell’ossessiva Fly Martyrs Fly, piuttosto che nell’eroicità di Road Rage Warrior, una vera bomba ad orologeria esaltata da un refrain particolarmente stimolante.
Separatismi, scollamento sociale ed un senso di desolante impotenza fanno capolino lungo le rimbalzanti melodie di Alive in A Glass Cage ( …sussulti in arrivo! ) e Bonded By Blood (riportatemi Max Rockatansky, la famigerata sacca di sangue! ), probabilmente gli episodi che più strizzano l’occhio al passato squisitamente danzereccio liquidato dalle acciaierie Krupp.
Esplosioni, deserti e pazzi scatenati.
Che cosa rimane?
La speranza, l’unico futuro per cui dobbiamo resistere e combattere, è il desiderio di una società fortemente matriarcale, pronta a ribaltare i ruoli e ogni ordine costituito sopra le ceneri di una civiltà implosa per motivi ovviamente non dichiarati ma comunque facilmente intuibili.
Industrial music for industrial people.
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Riassunto
Oblivion (2015) Disc 1 01. Die Verdammten 02. Kaltes Herz 03. Battle Extreme 04. Fly Martyrs Fly 05. The Truth 06. Road Rage Warrior 07. The Vampire Strikes Back 08. Alive in a Glass Cage 09. Branded 10. Kaos Reigns 11. The Red Line 12. Bonded by Blood 13. Volle Kraft Voraus Disc 2 01. Kaltes Herz (Reworked By Darkhaus) 02. Alive in a Glass Cage (Remixed by Faderhead) 03. Road Rage Warrior ’82 04. Battle Extreme (Demo) 05. Kaos Reigns (Demo)