Arch Enemy – Khaos Legions

Qualsiasi essere vivente, dopo una malattia grave, sa che non tornerà mai esattamente quello di prima. Potrà impegnarsi al massimo, con tutta la buona volontà possibile, ma il risultato difficilmente supererà una certa soglia. Mi ricordano tutto questo gli Arch Enemy con il loro album Khaos Legions.

Gli Arch Enemy, oggi, mi ricordano quel giocatore che dopo un infortunio pesante (nel loro caso il periodo Anthems of Rebellion/Doomsday Machine) torna a calcare il campo. A volte sparisce lentamente verso la panchina, altre riesce in un’improbabile rinascita, più spesso continua la carriera con dignità in una squadra di medio-bassa classifica. Ed è proprio quest’ultima la dimensione in cui vedo calati gli Arch Enemy attuali. Rise of the Tyrant e questo Khaos Legions riescono, in parte, a farsi voler bene anche da un nostalgico dei primi tre/quattro dischi come me. La band degli Amott non firma certo un capolavoro, ma si accontenta di eseguire un compitino sicuro (e redditizio) nel solco del sound che li ha resi celebri.

Che il songwriting non sia più quello dei bei tempi penso sia ormai chiaro a tutti. Eppure, rispetto agli abissi toccati in passato, un passo avanti c’è stato: Khaos Legions scorre tutto sommato in modo piacevole. Certo, il retrogusto è ancora amarognolo (anche se meno acre rispetto al passato recente), ma ci si può accontentare.

Tecnicamente, la band resta inappuntabile. I fratelli Amott si divertono ancora con assoli e intrecci strumentali – a volte riusciti, a volte meno – e la sezione ritmica, con due fuoriclasse come Sharlee D’Angelo e Daniel Erlandsson, è sempre solida e ben presente.

Il problema principale che hanno gli Arch Enemy con Khaos Legions è la durata: è lungo, troppo lungo. Eliminare qualche intermezzo inutile o un paio di brani deboli avrebbe reso l’ascolto più fluido (e migliorato anche il giudizio finale). Ma tant’è: questa è la forma che hanno voluto dargli. Curiosamente, ascoltato a piccole dosi, può risultare molto più efficace.

Le canzoni:

Spiccano Yesterday Is Dead And Gone (che cresce molto con gli ascolti), Under Black Flags We March (un po’ scontata, ma funziona), No Gods, No Masters e una Cult of Chaos finalmente avvincente grazie agli incastri chitarristici. Subito sotto, Bloodstained Cross (salvata dal ritornello), City of the Dead, Through the Eyes of a Raven, la classicissima Thorns in My Flesh (mezzo plagio di It’s a Sin?) e Secrets, tutte a un passo dal colpire davvero nel segno. Male invece, per i miei gusti, le pestatissime Cruelty Without Beauty e Vengeance Is Mine.

Angela Gossow:

La scelta di tenerla alla voce ha accontentato cuore e portafogli, e ormai ci ho fatto l’abitudine anch’io. Il suo timbro, per quanto “artificiale”, regge per molti… ma per me, alla lunga tende ad appiattire il tutto. Ogni tanto tira fuori qualcosa di buono, va detto. Insomma, i Judas Priest del melodic death metal accenderanno diverbi ancora a lungo, questo lo possiamo affermare con una certa sicurezza.

Khaos Legions potrà essere amato alla follia o odiato visceralmente, e io non me la sentirei di dare del pazzo a nessuna delle due fazioni. Personalmente lo ascolto senza particolari sussulti, e mi godo quei pochi momenti che mi ricordano quanto, un tempo, fossero superiori.


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Summary

Century Media (2011)

Tracklist:

01. Khaos Overture
02. Yesterday Is Dead And Gone
03. Bloodstained Cross
04. Under Black Flags We March
05. No Gods, No Masters
06. City Of The Dead
07. Through The Eyes Of A Raven
08. Cruelty Without Beauty
09. We Are A Godless Entity
10. Cult Of Chaos
11. Thorns In My Flesh
12. Turn To Dust
13. Vengeance Is Mine
14. Secrets

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