Sybreed – The Pulse of Awakening: evoluzione melodica e identità
I Sybreed, con il loro terzo disco, erano in procinto di evolversi. Pronti a compiere un balzo importante verso un netto processo di melodicizzazione, un travestimento necessario per dare la caccia a nuove forze fresche, possibili unità da piazzare in seguito al proprio cospetto.
The Pulse of Awakening iniziava così a far circolare il nome di questi svizzeri su un piano, diciamo, superiore. I risultati, a mio modo di vedere, sono alterni. Va detto che il disco funziona, riesce a mostrare una certa maturità, ma forse “eccede” troppo nella sua brodaglia, finendo per gettare alle ortiche l’ottimo impasto iniziale (diciamo che arriva un po’ a sfiancare).
Mi avevano ben impressionato con i precedenti Slave Design e Antares, dischi a mio avviso migliori: decisamente più snelli e d’impatto. Un industrial metal semplice, catchy, privo di sterili forzature, pronto per essere assimilato al volo, con tutti i bilanciamenti ben posizionati. Quei bilanciamenti ora risultano sballati, a favore di una carica melodica totale, in un regno dominato dalle clean vocals “zuccherose” (comunque sempre di spicco e molto personale l’operato di Benjamin).
The Pulse of Awakening: rivalutato col tempo
Questo sarà il primo boccone (amaro?) da ingoiare per chi vorrà intraprenderne l’ascolto. L’altro, logicamente, è la perdita di mordente in generale. Se prima il nome dei Fear Factory era il primo a venire in mente – per le strutture “dinamiche” o altro – ora tale paragone appare decisamente più lontano (meglio o peggio? starà a voi deciderlo). Ed è proprio qui il punto: i Sybreed erano nel pieno della loro evoluzione, e questo disco fungeva da bilancia. Di una cosa, però, sono certo: The Pulse of Awakening ha probabilmente ricevuto più consensi col tempo che non al momento della sua uscita.
I suoni appaiono levigati, votati alla perfezione. Batteria ed effetti elettronici sono da considerare “al top”, così come la prestazione di Ben. La sua voce rimane, ancora oggi, una delle più personali che mi sia capitato di ascoltare. Le canzoni si muovono su binari ben impostati, non sbavano mai, sono impacchettate con tale minuzia da risultare, a loro modo, avvolgenti (quasi materne).
La durata e l’insistenza su linee vocali ad effetto, però, alla lunga possono generare un po’ di stanchezza. Completare l’ora di ascolto diventa un’avventura particolare e insidiosa, una strada ricca di trabocchetti. Ma se si va a pinzare ogni brano singolarmente, isolandolo dal contesto, il verdetto sarà tutt’altro che negativo.
Semplicità cercasi: quando meno è davvero di più
A volte non capisco la mania di voler allungare ostinatamente qualcosa. In certi casi è proprio la semplicità l’unica via utile, quella che porta alla riuscita di un prodotto, anche quando l’intento è chiaramente quello di progredire. Tra i brani migliori cito l’opener Nomenklatura, A.E.O.N., Killjoy, Love Like Blood (cover dei Killing Joke) e la lunga From Zero to Nothing (con una parte che sembra rubata direttamente ai Faith No More). Dando uno sguardo alla tracklist, si deduce facilmente che la parte centrale dell’album è la più debole e difficile da districare.
Parlando terra-terra: meno industrial, più modern metal con piegature “goth”. La Listenable Records, con gli svizzeri, aveva tra le mani la classica gallina dalle uova d’oro (a volte, però, le previsioni non ci azzeccano). Forse una visibilità maggiore avrebbe dato più lustro ai Sybreed. Invece, ora siamo qui a parlare di possibilità perse. Le colpe? Da distribuire “random”. In ogni caso, The Pulse of Awakening resta un lavoro da riscoprire, nonostante pregi e difetti del caso.
-
60%
Summary
Listenable Records (2009)
Tracklist:
01. Nomenklatura
02. A.E.O.N.
03. Doomsday Party
04. Human Black Box
05. Killjoy
06. I Am Ultraviolence
07. Electronegative
08. In the Cold Light
09. Lucifier Effect
10. Love Like Blood (Killing Joke Cover)
11. Meridian A.D.
12. From Zero to Nothing