Malignance – Dreamquest: the Awakening

Un disco che non pensa neppure lontanamente di reinventare il genere e che dimostra piuttosto di saper “manipolare” a dovere le carte scelte in partenza. Si potrebbero fare sfilze di nomi sbagliando di nulla o poco con i Malignance di oggi, ma nessuno di questi verrà posto a spiccare sul resto a mo’ di faro (io ci sento più Svezia che Norvegia a causa di specifiche melodie viandanti che zampillano qui e là). Questa cosa riesce a dare al progetto -per quanto possibile- un’aura di personalità gradita, un qualcosa che permette all’album di maturare già durante il decorso di un primo e conoscitivo ascolto.

Di acqua sotto il ponte ne è passata dai tempi del debutto Regina Umbrae Mortis (2003), un disco onesto che voleva dire la sua all’interno del marasma di una scena che faceva fioccare uscite a catinelle. Poi c’era stato il ritorno nel 2017 con Architects of Oblivion, un disco gradito, che rappresentava un ritorno alla “masticazione” del genere, un genere che negli anni non è riuscito ad ampliare più di tanto il suo raggio, trovando invece forza nell’atto di opportuna resistenza e cementificazione.

Se prima i Malignance erano istinto, veleno, assalto e cattiveria quelli di oggi (gestiti interamente dal solo Arioch) rappresentano l’approdo ad una concreta e pungente consapevolezza compositiva. Questo Dreamquest: the Awakening oltre che suonare dannatamente viscerale appare straordinariamente compatto, una sorta di solida roccia capace di modellarsi a dovere alla forma del suo ascoltatore.

Otto volenterose canzoni pronte a lasciarci in grembo fredda e nera luce, cucite a ridosso di una produzione in grado di accrescere tiro, emotività e sensoriale attaccamento (sarebbero da menzionare tutte, mi limito alla opener He, The Crawling Chaos, agli stacchi perforanti di Dreamquest, alla strisciante Chaac, alla sagacia melodico/svedese di The Crossbowman e al tormento dato da una Fathomless I Am). Dreamquest: the Awakening trae forza dal suo insieme, da un riffing molto ispirato e da una dannata, comunicativa insistenza (che non rifugge da una melodia adoperata a modo) lesta ad irrompere con l’arrivo di ogni nuovo pezzo.

I Malignance muovono i fili senza mai richiamare ad incredibili piani di stravolgimento. Questo terzo disco oltre ad essere a mio gusto il loro migliore è anche quello che riesce a definire meglio i concetti di carattere e sicurezza (album adulto e conciso che senza reinventare calza a pennello con i tempi odierni). In poche parole: una semplice e autoritaria dimostrazione di crescita.

70%

Summary

Black Tears (2020)

Tracklist:

01. He, The Crawling Chaos

02. God of War

03. Dreamquest

04. Chaac

05. The Crossbowman

06. Fathomless I Am

07. A Ritual

08. Sekhet-Aaru