Skálmöld – Baldur

Skálmöld – Baldur: tra epicità vikinga e hype eccessivo

Skálmöld è il nome della nuova speranza in campo viking/pagan/folk metal. La band islandese si è affacciata sul mercato con il debutto Baldur nel 2010, pubblicato dall’etichetta Tutl Records. Il clamore generato dall’uscita ha presto attirato le tentacolari mani della Napalm Records, che l’anno successivo (2011) ha ristampato il disco, arricchendolo con qualche classica e succulenta bonus track.

L’uscita sarà motivo di gioia immensa per quella fetta di ascoltatori affezionati al lato epico e tradizionalmente nordico del metal. Pur trovandomi tra questi, devo confessare un certo scetticismo nei confronti di Baldur. Il disco, per quanto scorra bene (va detto: è un po’ troppo lungo) e senza veri inciampi, riesce nell’impresa di annoiarmi leggermente alla lunga.

Non mi stupirà affatto il possibile boom di consensi (soprattutto ora che la Napalm ci ha messo il marchio), ma per me resta l’ennesima uscita sopravvalutata, celebrata solo per il fatto di essere “coerente” col suo genere. Come se perdessimo temporaneamente il lume del giudizio, accecati da un entusiasmo un po’ ingenuo. Ultimamente si scambia troppo spesso il “buono” per “imperdibile”, e temo che Baldur rappresenti proprio uno di questi casi.

Folk e metal: equilibrio o sovrappeso?

Tolta però la mia personale patina critica, si può esaminare il disco con maggiore tranquillità. La musica targata Skálmöld è decisamente heavy e naturalmente folk, senza mai scivolare in toni danzerecci o caricaturali. Il gusto epico e grave trionfa su ogni traccia, grazie a una pomposità genuina e a un pathos costante.

I riferimenti stilistici sono numerosi (segno anche di una certa libertà compositiva che non guasta): si va dai conterranei Fortid e Sólstafir fino a Tyr, Einherjer, Solefald, Borknagar, Enslaved e i più oscuri Finntroll. Insomma, un bel minestrone, ma piuttosto digeribile. L’uso della lingua islandese aggiunge un tocco di autenticità che sarebbe andato perso con il solito inglese. L’impressione generale è quella di un attacco incrociato costante, tra ribellione e voglia di evasione, per far sentire la propria voce.

Una delle migliori tracce è senza dubbio la vorticante Árás, che mette in risalto un ottimo cantato (rigorosamente in lingua madre), trionfale, possente e roco, accompagnato da cori viking dall’effetto glorioso. Melodicamente vibrante e epico/ancestrale è Sorg, che evidenzia l’importanza centrale della voce, mentre i versi di Upprisa sembrano pescare a piene mani dagli Einherjer, e il risultato è tutt’altro che spiacevole.

Se siete arrivati fin qui, probabilmente reggerete anche la seconda parte del disco, più pesante da affrontare (almeno per me), ma comunque valida. Si segnalano l’immediata För, la trionfale e forse migliore del lotto Kvaðning (quanto sentimento in certe melodie!) e l’ottima Valhöll. Da menzionare anche la suite bonus Baldur. Dieci minuti ridondanti e battaglieri, finalmente una traccia aggiuntiva che vale davvero e che contribuisce a elevare il valore dell’opera.

Se non vi spaventa l’idea di ascoltare per un’ora buona una lingua complessa e affascinante, né quella di affrontare un disco arcigno, crudo e vagamente pesante, allora Baldur potrebbe essere esattamente ciò che fa per voi.

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Riassunto

Tutl Records (2010), Napalm Records (2011)

Tracklist:

01. Heima
02. Árás
03. Sorg
04. Upprisa
05. För
06. Draumur
07. Kvaðning
08. Hefnd
09. Dauði
10. Valhöll

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