Deathstars – The Perfect Cult: coerenza o déjà vu industriale?
Deathstars con il loro The Perfect Cult. Evoluzione? Eh?! Cosa? Cosa significa esattamente questa parola?
Li immagino quasi annaspare, andare subito in crisi Whiplasher Bernadotte e Nightmare Industries di fronte a una domanda simile.
Sembra quasi che, a cinque anni dal precedente Night Electric Night, i nostri eroi si siano ritrovati per caso, dicendosi: “È passato un bel po’ di tempo, che ne dici di tornare a scrivere qualcosa?”.
Così, puf, come per magia, come se fossero posseduti dal demone della coerenza, hanno semplicemente deciso di mettersi sotto con il songwriting, senza arrovellarsi troppo sul come dovesse uscire questo The Perfect Cult. Si sono semplicemente ricordati di essere i Deathstars, e tanto basta, a loro e (volendo) anche a noi.
La coerenza come scelta (furba)
Prosegue quindi il percorso della band svedese, con tanto di concept sotterraneo, non troppo dichiarato, iniziato nel lontano 2002 con il mitico Synthetic Generation.
Se qualcuno vi parla di “evoluzione”, fate attenzione: probabilmente vi sta solo prendendo per i fondelli. Quattro dischi? Sì. Ma, se ci pensate, è come se fosse uno solo, con l’ostacolo del tempo nel mezzo.
A voler essere provocatori, si potrebbe tranquillamente prendere una recensione qualsiasi pubblicata sotto il nome Deathstars dal 2002 in avanti, cambiarci i titoli dei brani con quelli del nuovo disco, ed eccola lì: la vostra opinione nuova di zecca su The Perfect Cult. Già bella pronta ancora prima che il disco esca ufficialmente.
Però, a ben pensarci, qualcosina è cambiata. Sto parlando della produzione, che si fa di volta in volta sempre più pulita e patinata, fino a raggiungere con The Perfect Cult livelli quasi morbosi, chirurgici.
Tolto questo aspetto, non resta che andare a studiare la qualità dei brani nella nuova tracklist. Se non avete già sbirciato il voto qui sotto, potete stare tranquilli.
Una precisazione, però, è d’obbligo. I Deathstars, da sempre, dividono: generano tanti apprezzamenti quanti insulti (che sia per il sound o per l’immagine). Se rientrate nella seconda categoria, forse è meglio fermarsi qui. Come detto, le cose non sono affatto cambiate. Per descrivere il loro percorso discografico userei il classico detto “chi va piano va sano e va lontano”.
Coerenza, furbizia e l’arte di gestire l’attesa
Personalmente, i Deathstars mi sono sempre piaciuti. Provo a restare neutrale, ma alla lunga emerge, non ci posso fare molto.
Va detto che i primi due album, Synthetic Generation e Termination Bliss, restano . seppur di poco – superiori rispetto a Night Electric Night e The Perfect Cult.
Da una parte c’è un certo decorso naturale (quanto vogliamo percepirlo, però, dipende anche da noi). Dall’altra, bisogna riconoscere alla band una certa furbizia: andando avanti a piccoli passi, riesce a gestire l’effetto-attesa con precisione, facendolo scattare e dilagare come un virus, pronto a divorare il “malcapitato” ascoltatore.
I Deathstars e il loro industrial metal / dark rock continuano a ruotare attorno alla voce di Whiplasher Bernadotte, solito cantore di disgrazie perfettamente calato nel ruolo. Teatrale all’eccesso, autentico divisore di pubblico.
Su questo disco, va detto, il suo operato è particolarmente efficace.
Oltre ai soliti giochi di parole, ci regala momenti memorabili, quelli che ti si infilano in testa e non mollano più.
I Deathstars funzionano in cuffia mentre cammini per strada guardando il mondo in rovina, oppure a tutto volume in casa, quando ti serve qualcosa di diretto ma catchy, che prenda senza pesare troppo.
I loro inni, le loro piccole rivoluzioni musicali, funzionano anche per sfogarsi. Perché anche la musica apparentemente più melodica o “commerciale” può arrivare a dire molto di più di quanto sembri all’inizio.
Una tracklist in due atti: impatto iniziale, resistenza finale
The Perfect Cult si apre con una cinquina da brivido: cinque brani che tengono altissima l’attenzione.
Si parte con la marcia ritmica di Explode, ben piantata e scandita (provate voi a togliervi dalla testa quel “We will scorch the earth…”).
Poi arriva Fire Galore, che cresce ad ogni ascolto. E sì, c’è persino un trafiletto tastieroso alla Nightwish, ma non ditelo a nessuno.
Dalla parte opposta c’è l’hit totale: All the Devil’s Toys. Che dire? Solo: “Grazie ancora una volta, Deathstars”.
Ghost Reviver è diventata la mia preferita del disco. Semplice all’eccesso, ma se un refrain ti si incolla addosso, non puoi farci nulla.
Segue la title track, in costante ascesa, con uno dei migliori ritornelli della loro carriera.
Dopo un avvio simile, era difficile mantenere il livello, ma la seconda metà del disco tiene comunque botta.
Asphalt Wings prova ad abbassare i toni, Bodies esplora territori electro/horror con Whiplasher padrone assoluto.
Temple of the Insects è il classico pezzo “obbligatorio” da inserire (un tocco sinfonico che non snatura nulla), mentre Track, Crush & Prevail è il brano da amore/odio che ti lascia perennemente indeciso.
Chiude Noise Cuts, che secondo il mio istinto è il pezzo più riuscito della seconda parte, e lo fa lasciando un segno bello profondo.
Un altro tassello nella loro discografia, interessante ma solo per chi ha voglia e orecchio di masticarla nel modo giusto.
Bene, avanti così!
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72%
Summary
Nuclear Blast (2014)
Tracklist:
01. Explode
02. Fire Galore
03. All The Devil’s Toys
04. Ghost Reviver
05. The Perfect Cult
06. Asphalt Wings
07. Bodies
08. Temple Of The Insects
09. Track, Crush & Prevail
10. Noise Cuts