Eccoli di nuovo tornare, sempre più testardi di un mulo per il modo coerente con il quale avanzano, a discapito di mille difficoltà e possibili critiche.
I finlandesi To/Die/For hanno impiegato quattro travagliati anni prima di stampare la loro settima pedina discografica. Il nuovo disco si intitola Cult ed esce per Massacre Records, la prima cosa che ci fa intendere è quella di aver capito la lezione che un disco più “secco” ed immediato ai giorni nostri finisce sempre, e in qualche modo per pagare (va beh, è sempre tutto soggettivo). Appena otto brani in questo caso, ma saranno un minore dispendio di minuti a far pendere l’ago della bilancia a suo favore (il precedente Samsara ne durava ad esempio 51, questo si fermerà invece a 38).
Tagliare per offrire il meglio uscito dalla nuova nidiata, è questo che bisognerebbe sempre fare, a discapito di chi preferisce dischi il più lunghi (con quale scopo poi?). Sarà proprio questa la forza di Cult, un disco non eccezionale ma quantomeno migliore del suo predecessore, il tutto senza apporre alcuna forzatura al loro tipico modo di agire. Ci provano e ci riprovano, ma la loro dimensione a questo punto è definita e ben circoscritta, sarà per sempre quella dell’onesto “comprimario”. E pensare che le loro occasioni le hanno anche avute (spesso hanno vissuto di rendita, bisogna ammetterlo), la forza di scrivere nel loro stile è riuscita bene o male a prevalere, e tali sforzi saranno comunque ben accettati. Ancor meglio quando scrivono un disco semplice e privo di forzature (o ostacoli) come questo.
Ormai saranno rimasti ben pochi a filarseli, soprattutto qui in Italia (immagino la situazione sia migliore nel resto d’Europa o del mondo); a volte è come se mi rendessi conto di scrivere unicamente per me, ma tant’è mi sembra sempre giusto parlare di loro, sarà la nostalgia, chiamiamolo affetto o altro, non so, questo non leva il fatto di come i To/Die/For siano riusciti ancora una volta a stendere il loro garbato respiro fatto di gothic metal romantico e dall’alto tasso ammaliatore.
Cult parte come si suol dire “a bomba”, le prime due canzoni sono -come ormai intuibile- le regine indiscusse di questa nuova tornata. La difficoltà più grande starà nell’oltrepassare il fosso naturale creatosi attorno, sarà essenziale se si vorrà proseguire l’ascolto nella maniera migliore (e indolore) possibile. Se sapremo riconoscere l’entusiasmo come “un bene dovuto” allora salveremo anche la predominante rimanenza, e riusciremo ad accettare l’immediato ridimensionamento delle cose.
In Black apre come meglio non si potrebbe, un pezzo che i Sentenced avrebbero potuto incastrare su qualche loro masterpiece di seconda battuta. Screaming Birds è un poco più moderata, ma capace di tirare fuori graffianti artigli al momento del chorus. La “parte 2” dell’album inizia con la buona Unknown III (la strofa mi piace particolarmente) e prosegue con la breve Mere Dream, soffusa e cupa ballad. Con You si riprendono ritmiche sostenute ma con evidenti risvolti dolci amari, mentre Straight Up (di Paula Abdul) evidenzia -a sorpresa- piacevoli risvolti glam (il ritornello vi tormenterà con fare sbarazzino). Let It Bleed non sfigura ma sarà infine l’anello debole del prodotto assieme alla “sospesa” e seducente End of Tears.
Nonostante il miglioramento diventa sempre più difficile tornare su livelli più alti.
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Riassunto
Massacre Records (2015)
Tracklist:
01. In Black
02. Screaming Birds
03. Unknown III
04. Mere Dream
05. You
06. Straight Up (Paula Abdul cover)
07. Let It Bleed
08. End of Tears