Children of Bodom – Halo of Blood

Children of Bodom – Halo of Blood: il ritorno che sfiora il passato senza afferrarlo

“Ecco, ci siamo finalmente”, è stata la mia reazione dopo aver ascoltato Transference, l’unico brano, da parecchi dischi a questa parte, che non avrebbe sfigurato all’interno di una qualsiasi tracklist della “sacra trilogia” iniziale dei Children of Bodom. A rincarare la dose, una copertina finalmente convincente aggiungeva ulteriore gusto, lasciando presagire un ritorno almeno dignitoso ai fasti di un tempo.

Ed effettivamente, qualcosa si è mosso. Non si sentivano i Children of Bodom così ispirati dai tempi di Hate Crew Deathroll (anno 2000, fate voi i conti). Purtroppo, quel disco rimane ancora oggi inarrivabile, anche per un ritrovato Laiho e compagni. In tanti saranno felici, altri grideranno di gioia per aver finalmente potuto vivere in tempo reale l’uscita di un buon disco da parte loro. E solo questo potrebbe già bastare per assegnare una sufficienza piena a Halo of Blood.

Tra godibilità e delusione: il peso delle aspettative

E così deve essere, almeno per i fan più accaniti. Questo è un disco da abbracciare senza troppi dubbi, quasi per tutti… ma non per me. Non riesco a lasciarmi andare a quel sorrisetto nostalgico. Non so cosa manchi esattamente: forse il fatto che un tempo il metal dei Children of Bodom suonava fresco, innovativo, mentre ora – per qualche strano motivo – non riesce più a colpirmi nel profondo. Con altri gruppi si riesce ad andare avanti anche tra dischi-fotocopia, magari senza aspettarsi chissà cosa. Ma con loro no: la delusione diventa troppo accentuata. È facile voltargli le spalle quando pubblicano lavori palesemente mediocri, ma diventa difficile anche accettare un disco tutto sommato godibile come questo.

Sarà per la loro incapacità di evolversi davvero, sarà per l’ombra lunga dei primi capolavori… fatto sta che Halo of Blood non riesce a entusiasmarmi oltre tre/quattro pezzi ben riusciti. Mi sembra quasi un tentativo forzato di recuperare quel pubblico che, negli ultimi anni, si era allontanato (e che, probabilmente, è ormai in netta minoranza rispetto a chi ha iniziato a seguirli negli ultimi anni).

I momenti migliori: Waste of Skin, Scream for Silence, Halo of Blood eTransference

Non a caso, i brani che mi hanno davvero colpito sono i primi quattro: Waste of Skin, la title track (splendido il riff “in your face” che apre il pezzo), Scream for Silence (ottimo mid-tempo che si stampa subito in testa) e la già citata Transference. Poi, d’un tratto, l’esaltazione svanisce. A quel punto diventa dura arrivare alla fine della scaletta. Questo album sarebbe potuto essere un grande EP da votazione altissima; invece, in versione full-length, si ferma a un risultato decisamente più modesto.

La produzione è potente e riesce a imprimersi bene nella testa (la title track ne è un esempio lampante), anche se mi è parso che Laiho, in alcune strofe, fatichi – volutamente o meno – a far combaciare voce e tempo in modo davvero fluido.

Una seconda metà debole e poco ispirata

Bodom Blue Moon (The Second Coming) riesce ancora a tenere a galla il tutto, ma l’uso dei soliti cori e controcori – da sempre una loro cifra stilistica – diventa qui quasi soffocante. Sarebbe il caso di usarli con maggiore parsimonia. Your Days Are Numbered passa senza lasciare traccia, mentre Dead Man’s Hand on You si distingue solo per un ritornello vagamente salvabile. Damaged Beyond Repair parte illudendo, ma il brano cala d’intensità man mano che procede. All Twisted si accende solo nel grido liberatorio di Laiho, e One Bottle and a Knee Deep tenta di chiudere il disco con la grinta di un tempo… ma di buono resta solo il tentativo.

Niente esaltazione alla prima ora, dunque. Resta però un piccolo successo: qualcosa si è mosso, finalmente, in senso positivo. Ma per arrivare davvero lontano, serve uno sforzo in più. Non saprei dire con precisione cosa manchi, ma so che manca ancora qualcosa. È come se si fossero detti: “mettiamo i pezzi forti all’inizio e tutti parleranno del nostro grande ritorno”. Ma un buon disco non lo si costruisce solo con la sola metà iniziale, neanche se ti chiami Children of Bodom.

L’ombra lunga della “sacra trilogia”

Dopo il rosso, il verde, il blu e il “rosso bis”, arriva il grigio. Un grigio non spento, ma con un distacco evidente dai colori più accesi del passato. Speriamo che in futuro riescano a riempire questo vuoto con qualcosa di più vivo. La direzione sembra quella giusta, ma la meta è ancora lontana.

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Summary

Nuclear Blast (2013)

Tracklist:

01. Waste Of Skin
02. Halo Of Blood
03. Scream For Silence
04. Transference
05. Bodom Blue Moon (The Second Coming)
06. The Days Are Numbered
07. Dead Man’s Hand On You
08. Damage Beyond Repair
09. All Twisted
10. One Bottle And A Knee Deep

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