Seconda stoccata per gli The Halo Effect. Su di loro ognuno tiene una sua idea, una precisa posizione ed è giusto così, ci sarebbero da fare diverse peripezie per disquisire sulla giusta utilità/necessità o meno riguardo alla formazione di questi stoici svedesi. Insomma, in un modo o nell’altro c’è molto da parlare per ravvivare situazioni di “convivialità metal”.
Nel 2022 il primo Days of the Lost si prese una discreta ribalta. Certamente il fatto che ben 4 ex In Flames mettessero su una band con Mikael Stanne alla voce era motivo sufficiente per generare hype tra tuffi nostalgici ed urletti da fan nevrotici. Tuffi nostalgici che ci sono effettivamente stati, ancora di più se si è vissuta l’epoca “dei capolavori” passati, ovvero di quando questi personaggi erano dei giovincelli del tutto ignari su come sarebbero andate certe cose.
Mettici il fatto che la carriera degli In Flames ha spaccato letteralmente in due una buona fetta di ascoltatori e proprio chi non ha più condiviso il loro percorso si è trovato nelle sembianze di una bestia famelica pronta volteggiare al suono delle chitarre del duo Engelin/Strömblad. Così i The Halo Effect diventano un po’ gli “antagonisti” di una certa parte di carriera degli In Flames, e una sorta di alternativa al modus operandi dei Dark Tranquility.
La band fonde quelle adorabili chitarre che abbiamo saputo amare su The Jester Race, Whoracle e diretti successori con l’impronta abrasiva e più cupa della band di Stanne (come se fosse l’unione tra Clayman e quello stampo Dark Tranquillity che parte da Damage Done). Il bilanciamento a volte pende da una parte, a volte dall’altra, ed è questo ciò che dobbiamo aspettarci o richiedere la volta approcciati i The Halo Effect.
Il 2024 parte dunque con la loro seconda fatica intitolata March of the Unheard, un disco che in pratica funge da esatta conseguenza di Days of the Lost. Inizialmente ho pensato che questo seguito fosse migliore, in qualche maniera più brillante, poi ho capito che si poteva benissimo accomunarli allo stesso livello senza troppi patemi, con il primo a spiccare per quanto riguarda alcuni brani, mentre al secondo va il risultato di aver raggiunto più coesione e linearità.
C’è chi vedrà in loro solo una bieca operazione commerciale per racimolare qualche soddisfazione e chi consegnerà le chiavi del proprio io brindando su quegli spunti melodici in grado di far scattare leve appartenenti al passato (sta tutto qui il dilemma, credere alla voglia di essere così oppure alle “necessità”). Personalmente mi sono goduto il debutto e anche March of the Unheard, dischi che mantengono la professionalità al timone, se vogliamo l’uso del pilota automatico che però per quanto mi riguarda non guasta (almeno al momento).
Conspire To Deceive da il via ad un disco con spinta ed ispirazione, il suo ritornello è probabilmente il più efficace di tutto l’album e ci aiuta a calare al meglio in ciò che arriverà. La successiva Detonate apre di più alla melodia mentre Our Channel To The Darkness verrà introdotta dalle indimenticabili chitarre acustiche (altre strizzatine di occhi ai “dinosauri”) prima di trasformarsi in un pezzo vagante e solido.
March of the Unheard avanza con struttura e organizzazione, la produzione enfatizza l’esperienza degli elementi ed emergono a dovere anche le prove di Daniel Svensson alla batteria e di Peter Iwers al basso.
What We Become cerca modi più riflessivi mentre le concessioni alla voce pulita di Stanne si hanno solo su Forever Astray e Between Directions (la seconda spiccatamente drammatica). La title track introdotta a modo dalla strumentale This Curse of Silence accresce senza dubbio il valore dell’intera opera, stiamo parlando di una canzone diretta, cantata con impeto, l’esatta incarnazione del motivo di nascita della formazione.
A Death That Becomes Us e The Burning Point (ammetto di avere un debole per la seconda) traghettano senza problemi March of the Unheard alla sua conclusione che avviene sulle note della strumentale Coda, ovvero l’ultima ed ulteriore stillettata in direzione del nostro cuore.
La speranza è che riusciate a godervelo senza troppi pensieri su questo o quello (in fondo è proprio uno dei compiti del melodic death metal). La qualità, l’abbraccio dato dalla produzione ci sono tutte, da lì partirà la nostra personale partita con la tracklist. Io li promuovo con naturalezza, senza il pensiero di dover oltrepassare una soglia “proibita”.
Summary
Nuclear Blast (2025)
Tracklist:
01. Conspire To Deceive
02. Detonate
03. Our Channel To The Darkness
04. Cruel Perception
05. What We Become
06. This Curse Of Silence
07. March Of The Unheard
08. Forever Astray
09. Between Directions
10. A Death That Becomes Us
11. The Burning Point
12. Coda