Wolfheart – Draconian Darkness, Capitolo 7.
La formazione finlandese non è mai rimasta con le mani in mano. Sin dalla loro nascita, i Wolfheart hanno sfornato album con una puntualità quasi sconcertante. Ogni due anni, il pacchetto arrivava già bello pronto sulla nostra porta.
Il 2024 ha portato in dote Draconian Darkness e un nuovo contratto con l’etichetta Reigning Phoenix Music. Di certo non ci si poteva aspettare una mutazione sostanziale in casa Wolfheart. Però bisogna riconoscere che questo nuovo lavoro si discosta un poco dal solco tracciato in passato (soprattutto dal modello Insomnium). E’ musica che prova a cercare una certa varietà, una timida personalità. E io, personalmente, non posso che appoggiare tale tentativo.
Non si parla di un’evoluzione o rivoluzione marcata. Parliamoci chiaro: niente guizzi improvvisi, ma la sensazione è quella di un diverso sfruttamento delle correnti. Un approccio più riflessivo, più ragionato, che pare voler scongiurare un eventuale ristagno delle idee. Eppure, al primo ascolto, Draconian Darkness mi aveva lasciato perplesso. Percepivo tutto come debole, spento… quasi un’eco sbiadita di ciò che era stato.
Ormai, però, bisogna esserci abituati a non cadere nella trappola delle prime impressioni. Il tonfo mi sembrava evidente, e invece, riascoltando con più attenzione, mi sono ritrovato – per la seconda volta in poche ore – a rivalutare l’insieme con uno sguardo più lucido. Parlare dei Wolfheart oggi può risultare ripetitivo. Da tempo hanno definito dei confini sonori piuttosto chiusi, e lì orbitano, con buona pace di chi cerca cambiamenti o evoluzioni stilistiche più decise.
Su Draconian Darkness ho ravvisato un uso più presente del lato sinfonico, senza però che questo vada a soffocare le classiche rasoiate a cui ci hanno abituato: le sfuriate ci sono, dosate solo con più metodo. È proprio l’andamento dell’album a essere diverso, più costruito sul lungo periodo, ed è solo con l’insistenza e una certa affinità emotiva con il loro death metal melodico e malinconico che se ne coglie appieno il valore.
Tumultuosa l’opener Ancient Cold, possente in ogni suo elemento (potrebbe persino ricordare vagamente i Dimmu Borgir), anche se il refrain risulta più “accomodante”. Evenfall va dritta al punto e colpisce bene, mentre Burning Skies brilla per delle trame di chitarra particolarmente ispirate.
L’album prosegue con la più ariosa Death Leads the Way, con l’epica Scion of the Flame e una Grave che cresce in modo sornione ma costante. Positiva anche Trial by Fire, ben strutturata e coinvolgente.
L’apprezzamento, qui, andrà di pari passo con il grado di tolleranza – o affezione – verso quelle trame ormai familiari partorite dalla mente di Tuomas Saukkonen (la sua voce profonda resta un’arma distintiva e riconoscibilissima). Non siamo di fronte a un disco che cambierà le sorti della loro discografia (come poteva essere forse Wolves of Karelia) o che farà la “voce grossa”. Ma ancora una volta i Wolfheart portano a casa un traguardo solido, privo di errori. E quando si spengono le note della conclusiva The Gale, è difficile sentirsi delusi.
Summary
Reigning Phoenix Music (2024)
Tracklist:
01. Ancient Cold
02. Evenfall
03. Burning Sky
04. Death Leads The Way
05. Scion Of The Flame
06. Grave
07. Throne Of Bones
08. Trial By Fire
09. The Gale