Sanctuary – The Year the Sun Died

La resurrezione dei Sanctuary: necessità o nostalgia?

La fenice che risorge dalle sue ceneri.
Il ritorno dei Sanctuary (ma davvero mancavano solo loro?) nasce da un’occasione colta al volo: l’ennesima riesumazione mascherata da trovata commerciale, tanto rilevante da scatenare discussioni infinite.

Ma era davvero il momento giusto per riportarli alla luce? E perché ora e non prima?
I soldi sono spesso la molla che rompe vecchie amicizie e ne crea di nuove, anche improbabili. Ma stringendo, ciò che conta davvero è che il prodotto arrivi sugli scaffali. Puoi raccontare quello che vuoi, ma alla fine devi convincere , dove si misura tutto.

Da questo punto di vista, il ritorno dei Sanctuary si presta a molte letture. Se guardiamo a ciò che erano un tempo, potremmo pensare che sarebbe stato meglio ricominciare con un monicker nuovo di zecca. Ma se osserviamo cosa hanno generato dopo la loro “scomparsa”, allora tutto comincia ad avere un altro senso.

Nevermore o Sanctuary? Una questione di identità sonora

The Year the Sun Died è un filo conduttore – quello di Warrel Dane, protagonista indiscusso dell’opera – che si insinua tra ciò che erano i Sanctuary, suonando però alla maniera dei Nevermore. Provate ad ascoltarlo senza sapere chi c’è dietro: cosa rispondereste? È una situazione da “tutto e niente”. Da una parte sembra il nuovo dei Nevermore, dall’altra percepisci il tocco sporco di Lenny Rutledge alla chitarra.

Questo ritorno altisonante genera emozioni contrastanti. Si può discutere sulla reale necessità della loro presenza oggi (verrebbe da dire “no” di getto), ma poi il disco ti conquista e ogni riserva cade. Hanno scelto la via più semplice, quella della coerenza. Con se stessi e con il tempo passato nella pelle di un’altra importantissima band.

The Year the Sun Died è un signor album. Mi piace dall’inizio alla fine (tolto un piccolo cedimento), e probabilmente avrei dato un voto ancora più alto se non fosse uscito sotto questa effige. La soddisfazione resta intatta, perché il flusso musicale scorre libero da preconcetti (anche se non sarà per tutti). Tuttavia, in fase di giudizio bisogna tenere conto della storia che si portano dietro. I Sanctuary pesano, echeggiano ancora oggi, anche dopo lo sbigottimento iniziale, le ansie e i timori per un comeback del genere.

La voce di Warrel Dane e l’effetto déjà vu

La cosa più strana che mi è successa con questo disco?
Realizzarne la spiazzante immediatezza. Mai mi era capitato di assimilare così in fretta un album con Warrel Dane alla voce, nemmeno Dead Heart in a Dead World, per quanto “easy”, mi fece questo effetto. Al secondo ascolto era come se lo conoscessi da sempre, come se l’avessi studiato dormendo. E anche dopo anni passati ad ascoltare musica prodotta da queste mani, lo stupore è ancora capace di bussare.
È una sensazione del tipo: aspettati l’inaspettato.

Produzione rotonda, suono pulito che tocca ogni angolo, Dane come solito cerimoniere della negatività. Ogni tassello va al suo posto. Strofe e ritornelli si insinuano come arsenico, articolati nella forma ma taglienti nella resa.

I brani incidono

Arise and Purify è il biglietto da visita perfetto, con il suo riff elastico pronto a respingerti a ogni tentativo di fuga. Let the Serpent Follow Me è forse il miglior punto d’incontro tra due mondi tanto diversi quanto capaci di parlarsi.
Il reparto assoli, fortunatamente, non delude: lungo tutto The Year the Sun Died non ne trovi di forzati o privi d’ispirazione. Exitium (Anthem of the Living) mi ha riportato ai tempi di Dreaming Neon Black, ma in modo meno oppressivo. La sofferenza qui pare elaborata, come se con questo disco fosse arrivata l’accettazione. È forse questa la sua virtù più grande: spiega perché il legame che si crea sia così immediato e dannato.

Question Existence Fading si aggancia con forza al passato, mentre I Am Low veste i panni della ballata ispida e maledetta. Le lame melodiche di Frozen lasciano spazio all’unica vera caduta: One Final Day (Sworn to Believe), che avrei volentieri tolto dalla tracklist.
The World Is Wired e The Dying Age mantengono alto il livello, ma è con la title track finale che i Nostri aggiungono una perla malinconica e definitiva, pura espressione di smarrimento.

Come andranno avanti da qui?
Se The Year the Sun Died resterà un caso isolato, rimarrà un’opera minore. Ma se sapranno costruire qualcosa da qui in avanti, il pubblico sarà pronto a seguirli.
Tolti i discorsi sul marketing e il ritorno economico, resta solo una cosa da dire:
bravi Sanctuary!


  • 70%
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Riassunto

Century Media Records (2014)

Tracklist:

01. Arise And Purify
02. Let The Serpent Follow Me
03. Exitium (Anthem Of The Living)
04. Question Existence Fading
05. I Am Low
06. Frozen
07. One Final Day (Sworn To Believe)
08. The World Is Wired
09. The Dying Age
10. Ad Vitam Aeternam
11. The Year The Sun Died

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