Mortemia – Misere Mortem

Prima o poi doveva arrivare il momento della resa, quel punto di rottura in cui realizzi che l’ambita “eterna devozione” per Morten Veland era solo un vecchio miraggio. Ascoltare Misere Mortem dei suoi Mortemia è stato come assistere in diretta al crollo improvviso di una montagna che per anni era stata un punto fermo nel tuo panorama quotidiano.

Fin dai tempi lontani di Widow’s Weeds, Morten si era costruito intorno un’aura particolare, anche se va detto che una certa perfezione aveva già iniziato a incrinarsi con le ultime produzioni firmate Sirenia.

All’inizio non volevo – o forse non potevo – credere di essere di fronte a un suo lavoro così debole. Figuriamoci arrivare al punto di considerarlo del tutto insufficiente, com’è effettivamente accaduto. Eppure, in questo “mare di negatività”, c’è almeno un aspetto positivo. Ovvero la sua volontà di restare fedele al gothic metal. Un genere che lui stesso ha contribuito a plasmare nel corso degli anni. Anche quando decide di uscire dalla routine dei Sirenia (anzi, questo disco potrebbe benissimo essere un loro lavoro senza voce femminile), Morten dimostra di credere davvero in ciò che fa. Misere Mortem potrà essere tanto orecchiabile quanto smaccatamente vuoto, ma bisogna almeno riconoscergli un’incredibile perseveranza e la cura con cui progetta ogni dettaglio prima di esporsi.

Misere Mortem è un album difficile, pesante da digerire. Interamente prodotto e suonato da Veland, riesce nell’impresa – non certo eroica – di provocare sbadigli a ripetizione. La perfezione sonora, portata all’estremo, rende il tutto artificiale, plastificato, come se ci trovassimo di fronte a dei Rammstein impegnati in una partita “gothic metal” (con le dovute differenze, s’intende). Il disco si svuota rapidamente di qualsiasi energia, e ciò che più colpisce è la mancanza di atmosfera. Proprio quella che dovrebbe avvolgere e sedurre l’ascoltatore più romantico. Si tenta, ma non si riesce.

La ricetta sonora dei Mortemia attinge in modo distratto al passato dei Tristania, senza rinunciare alla semplicità ormai tipica del sound dei Sirenia. Ritmiche elementari fanno da base a cori gregoriani à la Era, nel (vano) tentativo di evocare i tempi di Beyond the Veil e Widow’s Weeds, con annessa la tipica ruvidità vocale di Morten. Questo mix funziona, a mio avviso, solo nella opener The One I Once Was e nella conclusiva The Candle at the Tunnel’s End (davvero troppo poco, e per giunta con un titolo beffardamente profetico), quasi a rappresentare l’inizio e la fine di un viaggio povero di idee e ispirazione.

Le altre sette tracce affondano nella noia. E trascinano l’ascoltatore in un torpore costante. Ti lasciano lì, fermo e disarmato, come se fossero state messe insieme senza anima, solo per riempire un vuoto. Gonfiate alla bene e meglio da orchestrazioni ridondanti. I cori non sono nemmeno così male: è ciò che li circonda a non reggere, ed è lì che tutto crolla.

Sicuramente la Napalm Records avrà strappato il suo piccolo ritorno economico. Ma non saprei davvero dire a chi possa rivolgersi un progetto come Mortemia. Forse a qualche giovane assetato di metal orchestrale, attratto dalla presenza di un paio di bei cori. Magari esagero, e se per voi quest’album riuscirà ad avere un significato, tanto di guadagnato.

Ultima nota dolente è la copertina. Penso sia orribile. Una di quelle che eviteresti d’istinto non appena ti capita davanti agli occhi. E stavolta, lo si può dire senza remore: “Misero Morten“.

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Summary

Napalm Records (2010)

Tracklist:

01. The One I Once Was
02. The Pain Infernal And The Fall Eternal
03. The Eye Of The Storm
04. The Malice Of Life’s Cruel Ways
05. The Wheel Of Fire
06. The Chains That Wield My Mind
07. The New Desire
08. The Vile Bringer Of Self Destructive Thoughts
09. The Candle At The Tunnel’s End

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