Mercenary – Metamorphosis

Mercenary – Metamorphosis: potenza melodica e maturità compositiva

I danesi Mercenary da sempre svolgono il loro egregio lavoro di “melodia distruttiva”, con Metamorphosis non fanno altro che continuare la loro operazione speciale. Che fossero superiori alla norma lo si era capito già dal grandioso debutto, il purtroppo mai troppo elogiato First Breath, un disco che li catapultò sulle scene “che contano”. La Hammerheart Records li spinse successivamente verso il periodo di maggior successo, avvenuto in seguito sotto Century Media.

I Mercenary si omologarono un po’ alla crescente scena/voglia di melodic-melodic death (detto due volte appositamente) con i tre album successivi, riuscendo a rimanere a galla degnamente, salvati da un songwriting furbo ed efficace. Questo “tesoretto” era ancora presente nel sesto capitolo, Metamorphosis, per quanto potessero apparire scontati, stucchevoli e “cercatori di successo”. Insomma, c’è modo e modo di commercializzarsi, e secondo il mio gusto qui avevano trovato il giusto escamotage per colpire l’ascoltatore a modo, con armi quali potenza e sentimento.

Se conoscete e apprezzate la formazione danese e la sua evoluzione, questo giro non vi avrà lasciato delusi, scontato dirlo, ma sicuro. Se i percorsi seguiti da Soilwork, Scar Symmetry, In Flames (e un pizzico d’impatto alla Dark Tranquillity qua e là) vi annoiano da morire, non dovrete logicamente sprecare tempo su questo disco, visto che la formula proposta è proprio quella. Bisogna però ammettere che qualcosa di classicamente loro i Mercenary riescono ancora a mantenerlo.

Metamorphosis è un album per chi sa andare oltre la superficie

Parti violente si incastrano alle ormai classiche clean vocals, mentre un riffing inquieto e vagamente “alternativo” agisce di conseguenza, muovendosi fra “rocce” e “ariosità”. Metamorphosis, per struttura e durata dei brani, è quindi consigliabile solo ai veri appassionati del genere – un genere dove ormai è diventato troppo facile sbagliare – ma fortuna vuole che i ragazzi siano in questa occasione in completo stato di grazia, offrendo nove pezzi scontati quanto si vuole, ma dotati di quella scintilla compositiva in grado di soddisfare l’ascoltatore settoriale. Logicamente si dovrà pensare a loro come a una band “diversa” per poterlo fare.

Troveremo all’interno una serie di hit notevoli. Mi vengono subito in mente l’opener Through the Eyes of the Devil, dal ritornello impossibile da trascurare, oppure The Follower e Memoria. Ottime intelaiature si riscontrano anche in In Bloodred Shades (dove l’interpretazione vocale raggiunge livelli importanti), In a River of Madness (quasi pomposa, con partiture che richiamano perfino i Dimmu Borgir) e la conclusiva The Black Brigade (qui saremo vestiti alla Arch Enemy, invece). Non posso davvero segnalare nulla di negativo. Ogni brano regala certezze, aspetti semplici, positivi e maturi che solo una band padrona di sé riesce a ottenere. Infine, non stupitevi se vi ritroverete a dover “scollare” con difficoltà dal vostro cervello alcuni ritornelli o passaggi dell’album, penso appartenga alla normalità.

Il termometro sotto la voce melodic death raggiunge temperature inaspettatamente alte. Quanto vi piace questo genere? I Mercenary con Metamorphosis molto probabilmente riusciranno a svelarvelo. Il piacere della melodia, talvolta amara, altre volte decisamente dolce. Ma in tal caso va più che bene così.

  • 74%
    - 74%
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Summary

NoiseArt Records (2011)

Tracklist:

01. Through the Eyes of the Devil
02. The Follower
03. In a River of Madness
04. Memoria
05. Velvet Lies
06. In Bloodred Shades
07. Shades of Grey
08. On the Edge of Sanity
09. The Black Brigade

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