In Flames – Siren Charms

Gli In Flames farebbero vacillare persino un eremita. Ci hanno sconvolto psicologicamente in ogni modo possibile, fino a portarci a un completo disorientamento. In certi momenti abbiamo persino iniziato a dubitare di noi stessi.

C’è chi ha smesso di seguirli. C’è pure chi continua a farlo ostinandosi dentro una politica autodistruttiva, chi ancora lotta nonostante tutto, affrontando mille grattacapi. E poi c’è chi riesce ancora ad apprezzarli, soprattutto chi li ha scoperti a partire dalla metà della loro carriera in poi. Ma capisco perfettamente chi li ha vissuti fin dagli esordi.Diventa oggettivamente difficile digerire ciò che sono diventati, paragonare e far convivere le loro due anime. È un’impresa praticamente impossibile. L’unico modo per affrontare la cosa con un minimo di lucidità è considerarli, in un certo senso, “morti”, provare a vederli sotto una luce diversa, come se stessimo parlando di una band del tutto nuova, senza dover ricorrere all’inutile (e poco fruttuoso) cambio di monicker.

Se questa operazione mentale diventa possibile, dischi come Siren Charms (e prima ancora A Sense of Purpose o Soundtrack to Your Escape) possono trovare una loro dignità. Certo, quella per me insopportabile definizione di “apertura mentale” diventa in questo contesto una necessità imprescindibile. Anche lo stato d’animo con cui si affronta l’ascolto può fare la differenza. Partire prevenuti è inutile e, in questo caso, persino dannoso. Moltiplicate pure questa convinzione per quanto volete: non sarà mai abbastanza.

Il mio primo ascolto di Siren Charms è stato sorprendentemente positivo. Il disco è scivolato via liscio, riuscendo a convincermi pienamente. È come se gli In Flames non si fossero posti obiettivi rigidi durante la composizione, limitandosi – e forse divertendosi – a scrivere brani liberi da vincoli di genere. Il termine che meglio descrive la musica qui contenuta è “alternative metal”. Un contenitore ampio, dentro cui trovano spazio pennellate del vecchio stile in uno schema sempre imprevedibile. Il messaggio che emerge è semplice ma chiaro: vivete quello che state ascoltando senza preoccuparvi troppo di ciò che verrà.

Una volta accettata questa premessa, ci si apre una possibilità. L’unica cosa che cambia rispetto al passato è l’approccio, ma ormai non è più una novità. Gli In Flames sono diventati commerciali, e non è certo un segreto. Tocca semplicemente adattarsi al fatto che la loro musica non è più quella magnifica unione di violenza e melodia. Oggi si ascolta in modo diverso, come uno svago, non più come legame viscerale, quello che, per intenderci, sapevano dare lavori come Subterranean o The Jester Race.

Crescere musicalmente significa rincoglionirsi? Forse dovremmo provarlo tutti, prima di parlarne. Intanto Siren Charms si presenta – a suo modo – come un disco maturo, realizzato da un gruppo di volponi con parecchia strada alle spalle.

La prima cosa che colpisce è la varietà vocale di Anders Fridén. La sua missione è evidente. Ovvero, cambiare pelle ogni volta che può, adattando la voce a ogni brano. In With Eyes Wide Open, mi sono persino chiesto se non ci fosse Ralf Scheepers come ospite. Sia in versione pulita che growl, Fridén è efficace e convincente, confermandosi tra i cantanti più riconoscibili in circolazione. La produzione, dal canto suo, è chirurgica e impeccabile. Se il disco scorre fluido e senza inciampi, gran parte del merito va proprio a questo aspetto.

Gli influssi elettronici aprono In Plain View, il cui ritornello è un ruggito capace di scardinare qualsiasi diffidenza iniziale. L’attacco hardcore di Everything’s Gone rincara la dose: un pezzo pesante, diretto, travolgente. Paralyzed è un brano corale, con una strofa soffusa che sfocia in un ritornello vagamente anthemico. Through Oblivion sarà senza dubbio uno dei pezzi più divisivi (insieme alla title track). Si tratta di una ballata alternativa, oscillante, che ti lascia spaesato e ti costringe a chiederti se ti piaccia davvero oppure no.

A metà disco c’è With Eyes Wide Open, una ballad vista con lo sguardo tipico degli In Flames. A mio gusto, uno degli highlight assoluti dell’album (time and time again…). La title track è la più atipica del lotto: una specie di salsa grunge con sfumature alla System of a Down, la definirei così, giusto per farla breve. When the World Explodes rischiava di far crollare la valutazione complessiva, ma viene salvata in extremis da un ritornello a due voci (maschile/femminile) dove la voce oscura di Emilia Feldt duetta con quella di Fridén.

Rusted Nail e Filtered Truth riportano in superficie melodie d’annata, evocando i tempi d’argento di Colony o Clayman. Infine, Dead Eyes mi ha fatto subito pensare ai Gardenian: sarà forse lo zampino di Niclas Engelin? Chiude il tutto Monsters in the Ballroom, il classico brano che cresce ascolto dopo ascolto, sospeso tra festa e nostalgia.

Siren Charms non è esente da difetti, ma troppo spesso tendiamo a non perdonare certe cose solo perché una band è diventata famosa in modi che non combaciano con le nostre aspettative. E allora sì, forse le aspettative erano troppo alte. Ma quando si tratta di band come gli In Flames, con tutto il peso della loro storia, il segreto resta quello di non aspettarsi più del necessario.

Questa volta io scelgo di stare con loro. Voi, nel frattempo, siete sempre liberi di criticarli a prescindere.

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Riassunto

Epic Records (2014)

Tracklist:

01. In Plain View
02. Everything’s Gone
03. Paralyzed
04. Through Oblivion
05. With Eyes Wide Open
06. Siren Charms
07. When The World Explodes
08. Rusted Nail
09. Dead Eyes
10. Monsters In The Ballroom
11. Filtered Truth

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