Sesto album per gli Alghazanth e sesto tassello positivo consecutivo. Basterebbe dire solo questo, e poi lasciare spazio all’infinito silenzio.
La band ha sempre mirato a produrre ottimo materiale sinfonico, ignorando con coerenza tutto ciò che accadeva intorno a lei nel corso degli anni. Il risultato è lì, tangibile. Sei dischi pregevoli (alcuni più riusciti di altri, Vinum Intus si colloca senza dubbio tra i migliori), con radici saldamente ancorate al caro, vecchio metal estremo degli anni ’90, tanto in termini di produzione quanto di esecuzione.
La forza distintiva degli Alghazanth è proprio questa. Riuscire ancora oggi, dopo anni di carriera e vari album alle spalle, a esibire una freschezza compositiva tutt’altro che scontata. E considerando che hanno sempre suonato lo stesso genere, stupisce quanto Vinum Intus risulti ispirato e straordinariamente intenso.
Gli Alghazanth sono ormai diventati un affare per pochi affezionati, per chi non si accontenta dei soliti capolavori ma va alla ricerca di qualcosa di nuovo, magari meno brillante, ma spesso – forse – più autentico. Hanno conquistato lentamente il loro pubblico, ma senza mai espandere davvero il proprio raggio d’azione. Non mi sorprenderei se chi li ascolta oggi fosse lo stesso che li seguiva ai tempi dei primi passi.
Per immaginare il suono di Vinum Intus, pensate a una fusione tra il classico black metal finlandese (Horna, Sargeist) e una componente sinfonica brillante nella sua semplicità. Da non trascurare l’influenza svedese, con i mai troppo celebrati Naglfar come faro primario. Qui ci troviamo davanti a un disco in cui ogni intervento tastieristico fa la differenza, elevando in maniera determinante il valore di ciascun brano.
L’opener A Living Grace si rivela con lentezza. Forse non tocca vette eclatanti, ma si dimostra concreta, molto affascinante. Intanto, le chitarre iniziano a lasciar filtrare pennellate svedesi (forse è per questo che sento questo disco così “mio”). With A Thorn In Our Hearts graffia e sorride: è il miglior brano del lotto (colpa di quell’effetto Vittra che emerge qua e là?). L’atmosfera è altissima – azzeccatissimo l’uso del violino – e i cori epici non fanno che accelerare il tempo, sospinto da riff meravigliosi (“And the song of ravens keeps raging on!”). Poi arriva Only The Reflection Bleeds, triste, malinconica, autunnale. Un altro capitolo pieno di splendore, assemblato con maestria mistica e occulta.
Under The Arrow Star riunisce al meglio tutte le caratteristiche citate. Un brano che punta subito al cuore, senza esitazioni. Non sorprende che molti la considereranno – a ragione – una delle preferite del disco (come resistere al suo refrain?). Il bello di Vinum Intus è che non cede mai alla distanza: le gemme si susseguono, affascinanti e continue. Wine Within rappresenta una sorta di consacrazione definitiva. Un brano semplice ma impervio, curato con attenzione artigianale.
Nelle mie preferenze, dopo With A Thorn In Our Hearts metto For Thirteen Moons: un nuovo affresco dalle proporzioni epico-melodiche elevate. Goat Tormentor (alias Mikko Kotamäki) non ha bisogno di presentazioni, ma qui supera se stesso in intensità e sentimento. Una cesta colma di delizie, impossibile sedersi a riposare. E c’è ancora tempo per la splendida Triunity (chitarre altissime, violino di nuovo presente) e per la conclusiva The Way Of The Scales – circolare, penetrante – a suggellare un ascolto che sazia in profondità.
Lunga vita dunque al sodalizio Alghazanth/Woodcut Records, se questi sono i risultati. I finlandesi dimostrano come si possa incantare senza alterare minimamente il proprio suono. Quando ispirazione e devozione superano l’ansia da cambiamento, nascono opere come questa. Vinum Intus è un lavoro che riconcilia con la musica. E naturalmente con noi stessi.
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80%
Summary
Woodcut Records (2011)
Tracklist:
01. A Living Grave
02. With A Thorn In Our Hearts
03. Only The Reflection Bleeds
04. Under The Arrow Star
05. Our Ascent Of the Tower
06. Wine Within
07. For Thirteen Moons
08. Triunity
09. The Way Of The Scales