Den Saakaldte – Kapittel II: Faen I Helvete

Tornano avvolti nel loro manto acido ed asfissiante i Den Saakaldte, e sono diversi i cambi di line up che si registrano in scia al nuovo Kapittel II: Faen I Helvete. Ma l’istinto più importante, posto al di sopra di tutto, rimane quello di mantenere invariato quel forte senso di oppressione che si portano dietro sin dalla loro nascita.

Il cambio più importante si registra dietro al microfono, via un Niklas Kvarforth sempre più oberato d’impegni e dentro l’Islandese Eldur, già importantissima voce di realtà quali Curse, Fortid ma soprattutto Potentiam. Prendere sottogamba la sua prestazione potrebbe risultare solamente nocivo nei nostri riguardi, restare abbagliati – o meglio piagnucolanti orfani- di Niklas sarà altamente inutile, perché Eldur è rispettoso nei confronti del passato di questa band, e non cerca in nessun modo di snaturare il percorso registratosi fin qui. Anzi, cerca pure di rendere omaggio al suo predecessore, ma al contempo ci mette fortemente del suo, pure viscere poste a colare continuamente, ci sono anima, morte e cuore nella sua prestazione, e sono tutte da scoprire piano piano, molto lentamente. Un cambio del genere è certamente “impopolare” ma per quanto mi riguarda i Den Saakaldte non potevano scegliere di meglio.

Kapittel II: Faen I Helvete è anche il disco che suona più corale, più da “band”, ma con loro anche questo termine trova un po’ il tempo che trova. La loro musica rimane forma ideale per la sfera personale, lo dice un riffing inquieto, che cerca disperatamente di scavare un pertugio dentro la corazza che si troverà puntualmente in qualità di avversaria. Si rischierà di sottovalutarlo proprio per questo, per la sua incapacità di mantenere un filo comune lungo tutto la sua durata.

Creano e disfano, ripetono, e via di nuovo, creano e disfano, arrivano a pungerti con riffs bellissimi (due su tutti, quelli di Forbanna Idioter e Djevelens Verk) e li tengono appesi sadicamente (e ci si abitua a questo tipo d’operazione), arrivando spesso a toglierli in base a chissà quale decisione o principio (e quasi te li vedi apparire davanti, fermi imbalsamati, a godersi lo spettacolo di una reazione per niente comune).

C’è del classico su Kapittel II: Faen I Helvete, c’è il bel marciume (respirabile come non mai) e c’è pure un che di “inafferrabile”, ed è proprio quest’ultima particolarità a proibire al disco di spiccare il volo verso un giudizio ancor più interessante. Perché di base è tutto altamente positivo, però in certi momenti ti ritrovi a pensare che poteva esserlo ancor di più, ed automaticamente questo pensiero genera una qualche sorta di sbilanciamento interiore, vietando al tutto un sacrosanto completamento, ovvero quel determinato piano dove realmente in pochi arrivano ad osare.

Le chitarre sputano fuori “pura essenza norvegese”, il riffing arriva anche a toccare alcuni vertiginosi livelli di un tempo, ovvero di quando si era soliti andare incontro alle cose senza troppi pensieri addosso e non il suo esatto contrario. Troviamo la ricerca, la voglia di tornare su quel tipo di sound arcano e misterioso, il classico che però si ritrova repentinamente a cercare diverse sfumature, perché nel frattempo i tempi sono cambiati e il pubblico è diventato -forse stupidamente- più esigente.

Sette brani impenetrabili, ci ho passato diverso tempo sopra ed ancora sono lì a stupirmi per una cosa o per l’altra. Alcune parti entrano di soppiatto, non stanno a chiedere nemmeno il permesso, e puntualmente ci ritroveremo pieni di stupore quando le riconosceremo senza la presenza di un benché minimo preavviso. Din Siste Dag e Forbanna Idioter sono messe all’inizio per catturare, ma presto il lato “misticheggiante” arriverà a possedere l’opera, dapprima con Du Selvproklamerte Misjonær (pura arte nordica), poi con Djevelens Verk (descrivere l’apertura mi è impossibile, la pelle d’oca arriva puntuale a fermare ogni cosa) dove nove imponenti e negativi minuti ci terranno saldamente stretta la mano, ed infine grazie al binomio conclusivo costituito da Som Ett Arr På Sjelen (quel riff che si ripete, mmmmm) e Ondskapens Nødvendighet (elevazione, oscurità, calma ed introspezione). Nel mezzo troviamo la mortifera Endeløst Øde aperta da un riff che mette d’accordo primi Mayhem e Carpathian Forest in totale semplicità, come se niente fosse.

Bisogna saperci spendere delle energie sopra Kapittel II: Faen I Helvete, magari mostrare anche indifferenza all’inizio, ma poi… ma poi, quel “contatto” deve scattare, solo a quel punto potremo trarne il giovamento necessario.

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Summary

Agonia Records (2014)

01. Din Siste Dag
02. Forbanna Idioter
03. Du Selvproklamerte Misjonær
04. Endeløst Øde
05. Djevelens Verk
06. Som Ett Arr På Sjelen
07. Ondskapens Nødvendighet