Agathodaimon – In Darkness

Agathodaimon: riflessioni e rinnovamento con “In Darkness”

Carriera strana, quella degli Agathodaimon. Lontanissimi ormai i tempi del must have Blacken the Angel, mentre l’ormai penultimo Phoenix (2009) sembrava voler spostare l’attenzione altrove, allontanandosi da quella “eleganza oscura” che un tempo caratterizzava il gruppo.

In quattro anni di silenzio, però, possono succedere molte cose. Può persino capitare che venga fuori un disco che, con un occhio rivolto ai primissimi anni, riesce comunque a non tradire l’approccio essenziale e più diretto delle ultime produzioni. Il risultato è In Darkness, un ibrido tutto sommato soddisfacente. Forse non eccezionale, ma capace di curare il proprio orticello senza troppe ambizioni o inutili complicazioni.

In fondo, raschiando via gli strati più superficiali, è impossibile non notare un’impronta decisamente anni ’90 nella loro musica. Si sente che la band è nata e cresciuta in un altro contesto musicale. Questo tratto è così marcato che, con tutta probabilità, molti ascoltatori faticheranno a comprenderlo, legati come sono a logiche e produzioni totalmente diverse. In un certo senso, è come se gli Agathodaimon ci proponessero un piatto dimenticato, il cui sapore si è fatto nel tempo sempre più raro e distante.

Eleganza Oscura e Romanticismo: Gli elementi chiave

E restano lì, l’azzurro e il blu scuro della copertina, a testimoniare che, nonostante le difficoltà, loro ci sono ancora; e che non sono cambiati più di tanto. E come testimoniarlo meglio, se non con il brano che più di tutti guarda al passato? Parlo della title track, posta in apertura. Un pezzo che, a ben vedere, non avrebbe affatto sfigurato nei primi due dischi. Eleganza e romanticismo: quando gli Agathodaimon centrano le loro coordinate ideali, non si può che ascoltare in religioso silenzio, con muta rassegnazione. Lo sguardo alla melodia, nella loro musica, non è mai mancato, e non è certo questo il momento per inventarsi rivoluzioni.

Naturale, quindi, trovare richiami a quelle band che in passato hanno spianato loro la strada. Non si tratta di imitazione, ma di un’influenza che emerge in modo spontaneo, quasi inevitabile e, almeno per me, mai fastidiosa. I’ve Risen e Favourite Sin (con un refrain che, nel suo piccolo, funziona alla grande) richiamano i Dimmu Borgir, mentre Oceans of Black – con il suo vecchio gothic/romanticismo in risalita – guarda ai Cradle of Filth più teatrali. Ma non siamo di fronte a copie maldestre: gli Agathodaimon ci mettono del loro, una farina personale, viscerale, capace di rimescolare le carte il giusto.

L’equilibrio tra melodia e oscurità: i brani clou di “In Darkness”

E quando anche il pezzo più ruffiano ti gira così bene da non risultare pesante, allora significa che tutto sta davvero funzionando. È il caso di Adio, che avanza in modo suadente tra accelerazioni melodiche e un ritornello che si stampa in testa con una facilità disarmante. La concessione melodica di Somewhere, Somewhen (forse l’unico episodio trascurabile) ci introduce al finale oscuro e sinfonico del dittico Dusk of an Infinite Shade / Höllenfahrt der Selbsterkenntnis. Due brani che, insieme alla title track, incarnano al meglio lo spirito nostalgico dell’album. La prima lo fa in modo diretto, mentre la seconda – conclusiva – rallenta fino a toccare vette tragiche e interpretative, offrendo uno sguardo elevato sulla negatività.

Non mi aspetto che in molti riescano a coglierne il reale valore. Lo ribadisco: In Darkness è un disco pensato per un ascoltatore che porta sulle spalle qualche anno in più. E forse, proprio per questo, sa ancora riconoscere certi sapori dimenticati.

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Riassunto

Massacre Records (2013)

Tracklist:

01.In Darkness (We Shall Be Reborn)
02.I’ve Risen
03.Favourite Sin
04.Oceans of Black
05.Adio
06.Somewhere, Somewhen
07.Dusk of an Infinite Shade
08.Höllenfahrt der Selbsterkenntnis

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