Lycanthia – Oligarchy

Ogni tanto, dall’Australia, emerge qualche realtà gothic metal capace di distinguersi dalla mediocrità. In questo caso, però, è importante sottolineare che i Lycanthia non sono affatto delle new-entry. Il loro primo demo risale infatti al 1997, mentre l’esordio su full-length è arrivato solo due anni dopo. Queste poche informazioni bastano già per comprendere cosa ci si può aspettare oggi dalla band.

Dopo Myriad, però, è calato il silenzio per anni, interrotto solo da un EP nel 2006, fino ad arrivare all’attuale Oligarchy. Inizialmente autoprodotto nel 2012, il disco è poi stato adeguatamente supportato dalla Hypnotic Dirge Records, che non ha voluto lasciarlo affondare troppo a lungo. Così, ancora una volta, l’operazione “guardati attorno” si è rivelata utile per tutti.

I Lycanthia propongono un gothic doom dal sapore classico. Sono chiaramente influenzati dal primo Tristania (non è nemmeno necessario citarlo esplicitamente), e confezionano un album che affonda le radici in un’atmosfera romantica e profonda. Ogni appassionato del genere non dovrà assolutamente lasciarsi sfuggire quest’opera. Il nome di Megan Tassaker potrebbe dire poco a molti. Ma chi conosce gli Avrigus saprà apprezzare a dovere tutto il valore di questo progetto (acquisto ancor più consigliato per chi è familiare con il suo monicker).

La dimostrazione di devozione verso un genere sempre più di nicchia è racchiusa in The Essential Components of Misery, il brano che personalmente considero il più bello dell’album. I vocalizzi sono straordinariamente divini. Lui fortemente abrasivo, lei eterea e drammatica. A legare il tutto ci pensano le tastiere pompose e le parti pianistiche, che conferiscono un senso di slow-motion seducente e immaginario (non posso non menzionare lo spezzone finale, in cui un dolce cullare trascina l’ascoltatore fino all’ultimo secondo).

Con Forgone, il mood si fa ancora più vicino a quello di Widow’s Weeds (ecco, non ce l’ho fatta a non citarlo). I violini prendono il comando, aprendo strade che si rivelano di una bellezza pungente. La restante parte della band si incolla con sicurezza a questi inserti, senza perdere mai la propria direzione (qui il “gracchio” maschile raggiunge il suo apice).

La forza di Oligarchy sta nel dimostrare quella fame tipica di una band che, pur avendo alle spalle tanti anni di carriera, conserva ancora la rabbia e l’intensità di chi è agli inizi. Si percepisce subito una certa ruvidità e il rifiuto di scendere a compromessi per rendersi più commerciabili. Il risultato è sontuoso e soddisfacente. Sotto la superficie però rimane sempre una forza negativa, cupa e malinconica, che risuona in ogni canzone confezionata dai Lycanthia.

A contribuire a questa atmosfera abbiamo una produzione nebulosa e misteriosa. Un’uscita che enfatizza soprattutto le due voci, ma anche l’unione tra questi e gli altri strumenti. Particolare menzione alle chitarre, il cui suono sembra avvolgere tutto con una certa confusione, una soluzione che potrà allontanare gli amanti delle perfezioni assolute.

Ablaze the Wheel Turns guadagna punti per il suo ritmo in crescendo. Despondency in Crescendo prima, e Time Feeds These Wounds poi, riportano il mood a ritmi liturgici e tragici, privi di una dimensione temporale (la seconda traccia è tanto dolorosa quanto splendidamente interpretata). Hair of the Beast riporta i violini in primo piano, pazienti, a tessere trame complesse, e non ci vuole molto a rendersi conto di quanta classe ci sia in questi interventi. Infine, From Ancestral Lands chiude l’album con alcune delle migliori parti vocali del disco (quel “now I wonder, and I wander” rimane a lungo impresso nella testa).

Oligarchy non è solo un buon ritorno dei Lycanthia dopo tanti anni. E’ proprio un ritorno eccellente. Alcune piccole pause o momenti di smarrimento (ma nulla di preoccupante) mi impediscono – per pochissimo – di dare un punteggio ancora più alto. Ma se la band continuerà a lavorare in questo modo, di problemi non ce ne saranno. In ogni caso, dischi come questo sono una vera rarità.

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Summary

Autoproduzione (2012), Hypnotic Dirge Records (2013)

Tracklist:

01. The Essential Components of Misery
02. Eternity…
03. Forgone
04. Ablaze the Wheel Turns
05. Despondency in Crescendo
06. Time Feeds These Wound
07. Hair of the Beast
08. From Ancestral Lands

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