Rome – A Passage to Rhodesia: La storia come una ferita viva
Jerome Reuter con i suoi Rome prende a cuore gli avvenimenti legati alla fu Rhodesia e incide A Passage to Rhodesia, uno dei suoi dischi più sentiti fino a questo punto. Impossibile rimanere vuoti e impassibili di fronte a questa passione. Innanzi una fonte creativa praticamente inesauribile, capace di proseguire ad oltranza, “divinamente” privata di ogni senso di esitazione. Abilissima nel rimembrare e commuovere, senza lasciarti nemmeno i più piccoli e insignificanti dubbi di circostanza.
Aspettarsi qualcosa di “non bello” dal monicker Rome è ormai impensabile. Il tentativo di evasione offerto da Hell Money è praticamente archiviato. Adesso si torna un po’ indietro, ma al tempo stesso ci troviamo di fronte a un’opera che potrebbe aprire un nuovo grande ciclo. Qui ritroveremo la sottigliezza di Confessions d’un voleur d’âmes, l’autorità di Masse Mensch Material, la pulizia di Flowers from Exile e l’eleganza di Nos Chants Perdus.
Ritorno alle origini, in cerca di un nuovo ciclo
Ascoltando A Passage to Rhodesia si avvertono richiami a ogni periodo della carriera di Rome, ma una volta analizzato a mente fredda, si scopre quanto quest’opera si differenzi dal resto. La sua globalità spicca, polverosa, e nel farlo “fa davvero male”. Imprime cicatrici impossibili da dimenticare. E non è un caso se Jerome continua a trattare eventi storici. Questo disco sta scavando dentro di me un solco profondo, e ogni nuovo passaggio riesce a raschiare via centimetri importanti (noia? cos’è questa brutta parola?), consolidando sempre di più la posizione di Jerome all’interno del creato (che mai come in questo caso può voler dire tutto e niente).
A Passage to Rhodesia deve aver sottratto parecchie energie nella sua realizzazione. A spiccare è soprattutto la figura del leader: un ergersi solitario contro le ingiustizie, che, in maniera lacrimevole, assembla pezzi su pezzi, li cura e li nutre, arricchendoli quasi maternamente. Poi rimane da solo, per lunghi istanti, ed è lì che ti blocchi a pensare, ed arrivi a sentirti colpevole per ogni atrocità commessa. È questa, in fondo, la “magia nera” di Rome: ciò che ogni vero fan vuole sentire e vivere sulla propria pelle.
Per quasi un’ora saremo catapultati in Africa. Lo percepiremo qui e là, grazie a qualche accenno, senza però perdere mai di vista il tratto distintivo per cui il Nostro è celebre. Il legame con il concept è stato costruito a piccoli passi, soprattutto dal lato strumentale. Certo, si potrebbe dire che si poteva osare maggiormente sotto questo aspetto. Ma è solo un pensiero estemporaneo, capace di sciogliersi come neve al sole di fronte alle meraviglie incontrate (la versione limitata, grazie al secondo CD bonus, potrebbe offrire soddisfazioni aggiuntive) lungo il tragitto.
Un ascolto difficile da dimenticare
A Passage to Rhodesia si nasconde, colpisce, ma non si compiace mai. È in parte aspro, in parte rivoluzionario. Basti pensare al fluttuante ritmo misterioso di The Ballad of the Red Flame Lily (squarci e ferite). Oppure alle note mezzo-marziali di One Fire, brano che non contempla mai l’ipotesi di uscire fuori dalla testa. Intanto la figura solitaria di Jerome compare come preludio in A Farewell to Europe, ma è il duetto A Country Denied / In a Wilderness of Spite a trascinarsi dietro secchiate di lacrime e commozione.
Proseguendo incontreremo il “solito” pezzone intimo, The Fever Tree (quanti ne ha scritti così? eppure non stancano mai), e il mio tormentone personale: Hate Us and See If We Mind. Lullaby for Georgie libera tutta la malinconia possibile e immaginabile, e Bread and Wine le fa eco con ancora più enfasi, confermando una parte finale intensissima, tanto da far immaginare il disco come spaccato in due tronconi da sei brani ciascuno.
I contorni sono importanti. Così, quelli di un piccolo spaccato di storia possono dilatarsi smisuratamente fino a implodere. Cresce il disagio, resta il ricordo indelebile di qualcosa che “tanto capita sempre agli altri”. A Passage to Rhodesia rappresenta il mondo e l’umanità meglio di mille saccenti trattati.
The Past Is Another Country.
-
80%
Riassunto
Trisol (2014)
Tracklist:
01. Electrocuting an Elephant
02. The Ballad of the Red Flame Lily
03. One Fire
04. A Farewell to Europe
05. The Fever Tree
06. Hate Us and See If We Mind
07. The River Eternal
08. A Country Denied
09. Lullaby for Georgie
10. In a Wilderness of Spite
11. Bread and Wine
12. The Past Is Another Country