Il debutto dei Singularity: potenziale esplosivo, ma troppo calcolato
Esordio discografico omonimo per gli americani Singularity, che in poco meno di un’ora ci servono un concentrato di black metal sinfonico dai forti tratti tecnici. Immaginate dei Dimmu Borgir sotto acido, privati degli orpelli teatrali e visivi e colpiti da improvvisi impulsi nevrotici e chirurgici. Il quadro che ne esce è abbastanza chiaro per intuire cosa aspettarsi da questo lavoro.
Affrontare le dieci tracce proposte non è un’impresa impossibile, anzi: in alcuni momenti si resta piacevolmente sorpresi. Tuttavia, è impossibile ignorare una certa ripetitività che, col passare dei minuti, rischia di appesantire l’ascolto e portarci allo sfinimento ben prima di raggiungere la soglia dei 52 minuti complessivi.
Eppure, i Singularity riescono a colpire in diversi passaggi, lasciando emergere una positività inaspettata attraverso complesse e ininterrotte costruzioni sonore. Nei momenti in cui la componente melodica si fonde con quella più intricata, il gruppo dà davvero il meglio di sé, regalando lampi di qualità “ad alta definizione”. Se riusciranno a mettere meglio a fuoco la propria identità, potrebbero togliersi parecchie soddisfazioni.
Accanto ai già citati Dimmu Borgir, è inevitabile tirare in ballo anche nomi come Children of Bodom e The Kovenant. I Singularity tengono costantemente premuto sull’acceleratore, senza mai mostrare l’intenzione di rallentare. La batteria è un martello pneumatico inarrestabile – e per alcuni potrà risultare troppo meccanica – mentre le tastiere si insinuano nei brani con ispirazioni intermittenti che vanno dagli Arcturus ai meno conosciut Winds, fino a sfiorare frammenti dei primi Solefald. Le melodie, vivaci e guizzanti, cercano un equilibrio instabile, giocandosi il tutto per tutto e diventando il vero ago della bilancia nella percezione dell’album.
I momenti migliori: lampi di valore nella tempesta
Non è un caso che le prime due tracce in scaletta A Withdrawal of Salvation e Remnant of Stellar Evolution (quest’ultima unica strumentale) risultino essere le più immediate ed efficaci. Veloci, compatte, convincenti: forse una direzione su cui riflettere per il futuro.
Tra gli episodi da segnalare, Spacetime Devourment propone strofe solide e ben costruite. Mentre Monolith si perde un po’ nella noia, pur senza risultare del tutto trascurabile. Fortunatamente, il disco si riprende con Throne of Thorns (vero trionfo sinfonico), l’oscura e intrigante Desert Planet, e soprattutto con Utopian Flesh, uno degli apici assoluti del lavoro: Dimmu Borgir in ogni angolo, ma anche l’inserimento di un cantato pulito che, sorprendentemente, funziona. Interessante anche la breve e intricata The Ascension, che apre alla conclusiva The Resolution, chiusura degna e coerente di questo primo, coraggioso capitolo.
La prolissità resta il nodo centrale, una controversia evidente. Le idee ci sono, la tecnica pure, ed è esibita senza troppe reticenze. Ma forse è proprio questa sovrabbondanza il limite più evidente. La perfezione esecutiva tende a congelare l’anima del disco, rendendolo a tratti freddo, schematico, prigioniero di un copione seguito con eccessiva ossessione. I Singularity hanno il potenziale per volare alto, ma per farlo dovranno anche imparare a lasciare spazio all’istinto e all’imperfezione.
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60%
Riassunto
Autoproduzione (2014)
Tracklist:
01. A Withdrawal of Salvation
02. Remnant of Stellar Evolution
03. Spacetime Devourment
04. Monolith
05. Throne of Thorns
06. Desert Planet
07. Utopian Flesh
08. The Descent
09. The Ascension
10. The Resolution