Kampfar – Djevelmakt

Kampfar -Djevelmakt, atto sei.

Presentato da una delle copertine più belle di sempre – di quelle che ti bloccano lo sguardo e ti lasciano lì, in contemplazione, incredulo – Djevelmakt farà felici molti, se non tutti i seguaci dei Kampfar. Sembra quasi che, a livello globale, sia scoppiata una gara a chi elargisce più superlativi e voti altissimi. Credo che questa reazione si possa spiegare con due fattori ben precisi.

Il primo: l’entusiasmo genuino che deriva da un ascolto solido e appagante, amplificato forse dall’effetto visivo della copertina. Il secondo: la crescente difficoltà, per molti, di sapersi soffermare su prodotti più sottili, più “di nicchia”. Non che ci siano in giro molti dischi superiori a Djevelmakt, ma sicuramente ne esistono di equivalenti, se si ha voglia di cercare. E proprio in quella ricerca personale risiede la bellezza del bilanciamento tra il gusto individuale e la qualità oggettiva.

Il disco arriva nel momento giusto, in un periodo non particolarmente affollato sul fronte del black metal classico. Considerando quanto fosse stato ben accolto Mare – che personalmente considero nettamente inferiore – non mi stupisce affatto l’entusiasmo generale formatosi a ridosso di Djevelmakt. Alla fine di questo discorso (burrascoso, ma spero utile), posso dire che il nuovo lavoro dei Kampfar è il migliore dai tempi di Kvass, con cui si gioca una partita all’ultimo respiro. Giusto quindi lodarlo come merita, ma senza gridare al capolavoro con troppa leggerezza.

La cura nella scrittura e i piccoli cali di Djevelmakt

La strada per un ottimo disco era già stata preparata con cura, e l’unico vero rammarico riguarda due brani in particolare (De Dødes Fane e Svarte Sjelers Salme) che abbassano lievemente l’asticella. Nulla di drammatico, ma è proprio per questi piccoli cali che Djevelmakt si ritrova a competere “solo” con la seconda metà della discografia della band, mentre le prime uscite restano, a mio avviso, su un altro livello.

Quello che colpisce sin da subito è la cura maniacale della produzione: il suono respira, è pulito, preciso, ma riesce a mantenere una certa ruvidità primitiva. E non potrei che ripetere lodi già sentite sulla bravura espressiva di Dolk, ancora una volta perfettamente in forma. Il suo corpo è ancora pieno di veleno, e ce lo sputa addosso con tutta rabbia e ferocia.

Mylder apre le danze con convinzione totale. Il brano è compatto, senza punti deboli, e ti trascina via senza che tu nemmeno ti accorga del tempo che passa. La successiva Kujon introduce la prima delle tre canzoni “di accompagnamento” . La regina di queste è senza dubbio Swarm Norvegicus, uno dei migliori pezzi usciti dalla Norvegia negli ultimi anni. Riff maestosi, varietà, gusto epico: c’è davvero di tutto.

Blod, Eder og Galle e Swarm Norvegicus: l’essenza pura e trascendente dei Kampfar

Blod, Eder og Galle è Kampfar nella sua essenza più pura. E non è affatto facile risultare distintivi quando si suona un genere così radicato e codificato. Ma qui la band dimostra che con una forte personalità il suono può emergere senza impalcature artificiose. Swarm Norvegicus, l’ho già detto ma lo ripeto, è Swarm Norvegicus, punto. Quando la musica arriva a trascendere, non servono parole. Va vissuta, sulla pelle. (Rats! Rats spreading…)

Fino a Fortapelse, l’album mantiene alta una tensione epica e rabbiosa, le chitarre esplodono in armoniche turbolenze, supportate da tastiere agitate ma mai invadenti. Le due tracce “più deboli” non sono certo da buttare – sia chiaro – ma mostrano un andamento troppo intermittente per il livello medio dell’album. Gusti personali, certo, ma il contrasto si sente.

Il sipario cala con Our Hounds, Our Legion, una stalattite posta con precisione chirurgica in fondo: netta, solida, un monolite che avanza lento ma inesorabile, quasi con l’incedere di stampo Immortal. Ma non temete, i Kampfar imprimono il proprio marchio senza esitazioni: l’identità non viene mai messa in discussione.

Se cercate un disco rude ma perfetto, con lo spirito antico inciso a fuoco su ogni passaggio, Djevelmakt dei Kampfar fa al caso vostro. Anzi, con ogni probabilità supererete senza fatica le piccolezze che ho sottolineato. È un album che farà bene alla scena, un grido potente, una deflagrazione necessaria.

Finché ci saranno Dolk e la sua band, potremo contare su quel fuoco che ogni tanto, da lontano, intravediamo tremolare. Loro ce lo portano più vicino, ci scaldano. E lo fanno ancora dannatamente bene.

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Riassunto

Indie Recordings (2014)

Tracklist:

01. Mylder
02. Kujon
03. Blod, Eder Og Galle
04. Swarm Norvegicus
05. Fortapelse
06. De Dødes Fane
07. Svarte Sjelers Salme
08. Our Hounds, Our Legion

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