Human Improvement Process – Deafening Dissonant Millennium

Lo avevano detto in tanti – prima – durante la promozione degli ep di esordio S.T.A.R.S. e In Cristalline Worlds Beyond. Gli Human Improvement Process meritavano attenzione e sembravano avere davanti a sé un futuro radioso.

Io però ho imparato che, molto spesso, quando noi italiani parliamo di un disco italiano manchiamo di lucidità (e a volte il problema non è nemmeno solo quello) o di oggettività. Salvo rare eccezioni, quindi, non credo finché non sento, non vedo finché non guardo. Ed è un bel modo di fare, tutto sommato. Perché poi arriva un disco come Deafening Dissonant Millennium e tu – da maledetto pessimista – ti ritrovi con un sorriso stampato in faccia ad ammettere che forse, davvero, “non è tutto marcio quello che viene scritto in giro“. Un mea culpa il mio che, molto probabilmente, ha poco motivo di esistere, ma pur sempre un mea culpa per non aver testato (o meglio, sondato) la band prima di oggi- Prima dell’incontro con questo full-length (edito dalla Memorial Records, etichetta che molto spesso ci azzecca).

Già un primo ascolto ti fa rendere conto della bontà dell’opera, e i successivi non faranno altro che rafforzare questa impressione. Ti ritrovi lì, appeso e completamente schiavo di questa formazione, in attesa di quel frangente melodico che ti era rimasto così impresso all’ascolto precedente. E così via: il disco vive di continui momenti importanti, tutte le canzoni diventano fondamentali ed essenziali, e su ciascuna resta appiccicato qualche particolare specifico.

Un esordio che non sembra affatto un esordio vista l’abnorme consistenza messa in gioco, l’apparente facilità d’esecuzione e la forte sicurezza. L’ascolto di Deafening Dissonant Millennium diventa un’autentica goduria.

Non esiste un’etichetta precisa per la loro musica, o almeno non esiste nel mio universo. Il prodotto si rivolge innanzitutto ai seguaci della sperimentazione made in Memorial Records. Dopo questa prima onda d’urto, potrebbero giungere anche sostenitori dalla scena death metal più sperimentale e “osé” (vi lascio rimbalzare nella mente il nome dei Meshuggah). Anche se va detto che di “classico” qui ci troverete davvero poco.

La violenza è diluita su linee care al post-metal/core/djent, ma non è certo tutto qui. Alcune divagazioni melodiche spostano il gioco su livelli completamente inaspettati. Sono quei passaggi che ti fanno esclamare silenziosamente di stupore fra te e te, e che ti faranno ricordare questa esperienza in futuro, quando dovrai scegliere qualcosa di particolare in mezzo a un mare di ascolti. Anche la splendida copertina potrà giocare un ruolo importante. Come ogni buon artwork che si rispetti, riesce nell’intento primario di farsi ricordare.

Chirurgia e tecnica sono le prime cose che balzano all’orecchio durante l’esecuzione della title track. Riffing serrato, inaspettato, e quelle aperture, quelle “dannate aperture”, così perfette e interiormente laceranti. Altro aspetto determinante ai fini del giudizio è come questi ragazzi siano riusciti a far vibrare e vivere gli strumenti, laddove di solito si riceve solo una fredda dimostrazione di tecnica (continuate così, cazzo!).

Gli Human Improvement Process non esagerano mai con le ripetizioni. La loro forza sta proprio nel variare e nel non reiterare ossessivamente parti anche pienamente riuscite (un trucco fondamentale per garantire longevità all’ascolto). Il disco risulta così sempre interessante, mai uguale a sé stesso, azzerando praticamente la parola “monotonia”.

Erase invita ad annientare la negatività interiore. Empty Eyes ne rappresenta quasi l’antagonista ideale, con il suo refrain pulito (c’è un lavoro mostruoso dietro le linee vocali, in qualsiasi momento e situazione, ed è bene che lo notiate). Our Last Pieces of Sanity potrebbe essere l’esemplare perfetto per far decodificare la loro musica anche al perfetto sconosciuto di turno, attraverso le sue irrequiete e convulse dissonanze. Addentrandosi nell’album, si capisce presto di essere di fronte a un prodotto in cui ogni elemento è riposto saggiamente al proprio posto. Senza la manifestazione delle solite canzoni che fanno inesorabilmente calare la temuta asticella dell’attenzione o dell’esaltazione.

Il lavoro viene spezzato egregiamente dalla strumentale Materiaoscura, trasparente e ulteriore dimostrazione di brillantezza. Qui non serve davvero aggiungere altro.

La seconda parte dell’album non concede un solo briciolo di disattenzione. Architecture of a Dying Sun (altro refrain creato per rimanere), The Process (di cui amo il crescendo pulito nel finale) ed Ethereal traghettano il lavoro verso la conclusione, affidata alla mai doma e variopinta The Deepest Oblivion.

Se cercate qualcosa di pulito e sensoriale, se la tecnica per voi è importante ma lo è anche il sentimento, allora siete finiti nel posto giusto. Deafening Dissonant Millennium è una delle più liete sorprese del 2013. Procuratevi senza indugi questo lavoro degli Human Improvement Process oppure pensate pure male di tutto ciò che ho scritto. L’errore, in ogni caso, sarà soltanto vostro.

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Summary

Memorial Records (2013)

Tracklist:

01. Jenova
02. Deafening Dissonant Millenium
03. Erase
04. Empty Eyes
05. Our Last Pieces of Sanity
06. Artificial Savior
07. Materioscura
08. Architecture of a Dying Sun
09. The Process
10. Ethereal
11. The Deepest Oblivion

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