Hellsaw – Trist

Trist: quando l’underground austriaco graffia con una certa eleganza

Alla fine, l’approdo su “casa madre” avvenne con il quarto capitolo discografico degli Hellsaw. Nel 2012, Napalm Records ebbe un ritorno di fiamma non da poco: certamente poco produttivo, ma caparbio. Si ricordò di quando, anni prima, spalleggiava l’ottimo black metal della propria terra, e diede finalmente spazio a questa formazione, che fino ad allora aveva sgobbato altrove per i suoi tre album precedenti.

Trist è un disco ben pensato, sottile e levigato nei suoni, aspro nel cantato e sufficientemente vario (leggasi: “melodia”) da poter catturare quanti più ascoltatori possibile. Ma queste parole non devono far pensare a un prodotto sfacciatamente “easy”. Gli Hellsaw, è vero, scimmiottano chiaramente gli Immortal (e a tratti anche i Satyricon), ma non rinunciano a dosi generose di stile svedese e a una certa oscurità interna, tipica della loro terra d’origine. Sarà proprio quest’ultimo risvolto a conferire loro un tocco personale – come spesso accade con ciò che proviene dall’Austria – un profumo particolare, capace di agire “a fin di bene”. Giusto per attenuare le somiglianze più evidenti che chiunque potrà facilmente riscontrare.

Un viaggio sonoro che sa come graffiare senza fare clamore

La tracklist è ben diluita. Ogni brano è pronto a graffiare, ma lo fa indossando dei speciali guanti di velluto. Armonie e contro-melodie arrivano decise e volenterose, con l’intento di squarciare quanti più istanti possibile. Il tempo scorre veloce, tra reiterata ibernazione e brevi schiarite di colore. Trist resta un affare prettamente underground: la “non voglia” di uscire dal sicuro selciato del semi-anonimato è ancora presente. A poco serviranno promozione e intenti melodici per cambiarne la traiettoria.

L’opener The Devil Is Calling My Name acceca con la sua furia diabolica, mentre Sorrow Is Horror si riconcilia con un riffing più elaborato e vario, di sicuro uno dei pezzi migliori dell’album. La terza traccia, Doom Pervades My Nightmares, è melodica, graffiante e di più facile presa: difficile uscire dal tunnel formato dalle gelide chitarre e dal refrain scandito come una mortifera nenia. Più ariosa invece The Forerunner of the Apocalypse, episodio pregno di carica armonica e tendente al lato “roll” della faccenda.

Death Bells prende di peso l’ascoltatore e lo trascina dentro la consueta “cerimonia satanica”, divertendosi ad ammorbarlo con rullate scandite e chitarre paludose. La title track ipnotizza, aprendo a immaginari scenari naturali e ancora incontaminati. A Winter Cold riporta in casa la tormenta, lasciandosi però possedere da un vago spirito epico. Beldam.1450 prosegue il disco in sicurezza, mentre Silence lo suggella straordinariamente bene, grazie a strofe intense e a un riffing fortemente emozionante.

Trist riesce a mutare alcune forme, pur restando avvolto da una certa staticità. Esce poco dal seminato, ma quel poco lo fa sentire subito. È un disco di bellezza concreta, ma in qualche modo “strana”: ogni sua parte vincente può anche rappresentarne i dolori.

  • 67%
    - 67%
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Summary

Napalm Records (2012)

Tracklist:

01. The Devil Is Calling My Name
02. Sorrow Is Horror
03. Doom Pervades My Nightmares
04. The Forerunner of the Apocalypse
05. Death Bells
06. Trist
07. A Winter Cold
08. Beldam. 1450
09. Silence

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