Cominciare così, dall’album numero dodici a parlare dei Kamelot…..
Il 2018 si apre anche con il loro ritorno, con l’album numero tre di una “terza era” iniziata nel 2012 con l’arrivo di Tommy Karevik sulle note di Silverthorn. La band di Thomas Youngblood è riuscita sempre a distinguersi grazie ad una certa dose di personalità, e una volta trovata la “giusta quadratura” non l’ha più mollata ostentando classe e capacità di scrittura altamente sopraffine. Insomma, non era di certo facile sostituire un nome come Roy Khan, ma loro sono riusciti infine a convincere un po’ tutti, forti di dischi sempre piacevoli e ispirati, chiaramente “devoti” a quello che ormai si era andato a formare nel tempo in casa Kamelot. La speciale categoria si amplia oggi con l’arrivo di The Shadow Theory e dei suoi 52 minuti di power metal sinfonico e deciso, un disco dove i Kamelot non stanno troppo a cincischiare ecco, mettendo sul piatto tutte quelle caratteristiche ormai tipiche e se vogliamo largamente “abusate” (ma che ancora non stancano, non me perlomeno).
Zero sorprese ma molto godimento. Il prevedibile motto si getta a tutta forza sulla scia di una tracklist capace di cambiare pelle ma con scaltrezza. Difficilmente i Kamelot ci faranno sentire un brano fotocopia dell’altro, ma allo stesso tempo manteranno stabile quell’equilibrio innato a cavallo di pezzi che da loro finisci sempre per aspettarti (decidete voi se è bene o male).
Al pronti-via troviamo Phantom Divine, un pezzo che non impiegherà molto a scalfire quei cuori già colpiti a ripetizone dalle grandi hit passate. L’esperienza si nota anche da queste cose, e iniziare un The Shadow Theory in questo modo è certamente un lancio dal trampolino non da poco. L’altra faccia della medaglia Kamelot arriva con Ravenlight e con un Tommy in splendida forma, il brano apre e chiude sportelli lasciando spiragli ora duri, ora mischiati al tipico dna Kamelot. Le tastiere prendono le redini di una Amnesiac dal gusto quasi “dark”, ma come per ogni cosa toccata dalla band non verrà mai smarrito quel senso di appartenenza a uno stile ancora ben volenteroso di esprimersi, assolutamente vivo e vegeto. I Kamelot badano al sodo e lo dimostrano anche con le successive Burns to Embrace, una canzone capace di passare da registro in registro (richiami folk, forte introspezione sino a terminare con un coro di voci bianche) e con la lacrimevole ballad In Twilight Hours (qui troveremo la candida voce di Jennifer Haben per un duetto vocale che fungerà da passaggio obbligato per l’apprezzamento del tutto). Saranno poi gli “epici e pestati” ritmi di Kevlar Skin a far smuovere gli animi più battaglieri e classici (quasi incredibile notare come la semplicità possa crescere così bene con gli ascolti) prima di tornare su cose più catchy, armoniose e magnetiche come Static e Mindfall Remedy. In coda troveremo la preziosa e delicata Stories Unheard (altra prestazione maiuscola di Tommy), la zuccherosa Vespertine (My Crimson Bride) e la lunga epico-melodiosa summa dal nome di The Proud and the Broken.
I Kamelot inventano ma senza dare idea di voler uscire da quel sicuro recinto costruito con attenzione. Le canzoni sono tutte pregevoli per un motivo o per l’altro, senza dubbio indovinate, e non arrivano mai a dare quel senso di pesantezza malevolo che molte volte percepisci senza motivo. The Shadow Theory trova nella scorrevolezza la sua arma migliore, senza il bisogno di dover ambire a chissà quale posto sul trono di una discografia sempre più imponente.
- - 70%70%
Summary
Napalm Records (2018)
Tracklist:
01. The Mission
02. Phantom Divine (Shadow Empire)
03. Ravenlight
04. Amnesiac
05. Burns to Embrace
06. In Twilight Hours
07. Kevlar Skin
08. Static
09. Mindfall Remedy
10. Stories Unheard
11. Vespertine (My Crimson Bride)
12. The Proud and the Broken
13. Ministrium (Shadow Key)