Construct accende la terza era della band svedese. Construct nelle parole dei protagonisti è l’essenza della materia Dark Tranquillity, ovvero le cose fatte con semplicità e senza bisogno di forzature.
Ora non so se le parole dei creatori stessi mi abbiano in qualche modo plagiato o meno, fatto sta che questo Construct mi ha dato una forte sensazione di scorrevolezza su ogni più piccolo passaggio. Le canzoni nulla aggiungono o tolgono a quanto fatto sino ad ora dai Dark Tranquillity è vero (anzi verissimo), ma in qualche strana ed avulsa maniera si respira un’aria nuova (da una parte mi viene da dire fresca, dall’altra gli umori che si respirano al suo interno sono talmente variegati che risulta solamente una parola come un’altra).
Ovvio che bisogna andare oltre una certa e solida crosta. I Dark Tranquillity hanno dimostrato di saper andare avanti tenendo sempre a mente da dove sono venuti, altre formazioni hanno cambiato radicalmente il loro sound, loro sono sempre rimasti in zona senza allontanarsi troppo dal sicuro raccolto. I dati parlano a loro favore, perché alla fin fine (c’è stato un periodo nel passato in cui pensavo concretamente “al vicolo cieco”), di dischi brutti non ne hanno mai fatti. Ovviamente devono piacere – e tanto – per poterlo dire, saper soprattutto perdonare qualche veniale peccato di percorso (che comunque non consegna -almeno per me- dischi insufficienti dalla loro discografia).
Ho rivisto e riveduto il percorso fatto da Character in poi. Aldilà di tutto, le loro canzoni le hanno sempre sapute scrivere – in certi casi ripetendosi o meglio ricopiandosi – ma la capacità di un gruppo la si nota più chiaramente alla distanza, magari imponendosi pure un certo distacco.
L’introspezione al centro dell’album
Construct diviene così il lavoro più introspettivo a firma Dark Tranquillity. Quel lavoro in grado di raccogliere i frutti di un sicuro raccolto. Le liriche portano all’inconscio, a riflettere su come l’unica via rimasta per fronteggiare questo mondo sia dentro noi stessi. La musica in contrapposizione cerca quasi di farle uscire tali sensazioni. Quello che si ottiene (parlando per me) è uno spiazzamento notevole, un caos controllato ma sicuro, capace di crescere con gli ascolti nonostante una prima impressione giunga nitida ad un primo ascolto.
A stupire è il sound vivo e cristallino. La produzione emoziona davvero, fa vibrare, e il bilanciamento dei suoni appare perfetto. Menzione speciale per gli inserimenti di Brändström, mai così puntuali ed eleganti come in questo caso. Le chitarre attaccano con la giusta varietà, mentre Mikael Stanne si conferma il solito leone, capace di disseminare e nascondere tormentoni vocali ovunque. E, come sempre, saranno proprio quelli meno evidenti a rivelarsi i più belli, quelli a cui ci si affeziona di più nel tempo.
Come detto, le canzoni non annoiano affatto. I vari momenti si imprimono rapidamente nella memoria (e, per esperienza personale, ancora di più dopo averli vissuti dal vivo), mentre la capacità di interiorizzarli con il giusto tatto diventa il vero punto cruciale della nostra valutazione.
Mai avevo sentito i Dark Tranquillity così sicuri di sé. In passato mi chiedevo se quello che suonavano fosse davvero ciò che volevano esprimere. Construct spazza via praticamente ogni dubbio, riuscendo a esaltare pienamente per almeno nove decimi. L’unica eccezione, pur restando valida, è Weight of the End, che personalmente colloco un gradino sotto al resto.
Brani memorabili e una tracklist senza punti deboli
Posso dire di aver cambiato spesso i brani preferiti al suo interno. Alla fine si è creata una massa informe fatta di otto brani dalla quale risulta impossibile scegliere. A primeggiare però resta stabile l’esaltazione sensoriale di None Becoming, classico ultimo pezzo dotato di una intensità sproporzionata (le strofe sono come perforanti uncini interiori).
Lungo il tracciato troviamo dapprima la possente For Broken Words seguita a ruota da una The Science of Noise in grado di saper unire vecchi e nuovi Dark Tranquillity alla perfezione. La voce pulita di Stanne torna protagonista in Uniformity, What Only You Know e State of Trust. Basta un ascolto per rendersi conto di quanto le sue linee melodiche si inchiodino addosso con apparente facilità. Questo avrebbe potuto far pensare a un ritorno alle atmosfere di Projector, ma la realtà è ben diversa: è affascinante constatare come Construct abbia una forma, un’identità e una risoluzione completamente proprie.
The Silence In Between ti sbottona con uno di quei refrain impossibili da dimenticare. Apathetic con quell’inizio che quasi sussurra Kreator rappresenta invece il risultato perfetto di quello che volevano ottenere con questo disco. Endtime Hearts aggredisce dapprima in maniera quasi industrial, prima di tramutarsi in un altro pezzo forte dell’album (la strofa mi manda puntualmente in delirio).
I Dark Tranquillity danno vita e fisionomia a Construct, un album denso di cupo scoraggiamento fatto in totale consapevolezza. Pulsa l’energia e sta a voi decidere se leggerla in maniera positiva oppure nel versante opposto. E’ chirurgico nel mettere ogni cosa al proprio posto senza fartelo notare troppo.
L’attenzione si concentra più sul brano in sé che sulla complessità della sua costruzione. Non so quanto questo possa contare per voi, ma per me rappresenta il più bel regalo dai tempi di Damage Done.
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Summary
Century Media (2013)
Tracklist:
01. For Broken Words
02. The Science Of Noise
03. Uniformity
04. The Silence In Between
05. Apathetic
06. What Only You Know
07. Endtime Hearts
08. State Of Trust
09. Weight Of The End
10. None Becoming


