Black Funeral – Vukolak

Con Vukolak, Michael Ford alias Nachttoter arriva all’ottavo disco sotto il monicker Black Funeral. Un altro tassello pronto a rendere più solida e coesa una discografia sempre più interessante nella sua intransigente indifferenza.

Fin dagli esordi, questo nome ha significato caos, marciume e tutto ciò che può esservi associato. Parallelamente, è cresciuta anche la componente spirituale e magico-esoterica, tanto nei testi quanto nella musica, portando alla realizzazione di lavori grezzi, minimali, ma al tempo stesso stratificati e complessi. Vukolak, da questo punto di vista, rappresenta un deciso passo indietro verso l’autentica carneficina cacofonica. Un disco volutamente fastidioso, caotico, con pochissime parti facilmente assimilabili.

L’unica traccia a risultare “tollerabile” in modo quasi convenzionale è Under the Black Caul. L’unica che non avrebbe sfigurato in un Belial Arisen o Az-I-Dahak, tanto per fare un riferimento (più evocativo che preciso). Michael Ford prosegue imperterrito nel suo stile, aggiungendo stavolta numerose parti ritual-ambient, che funzionano come momentanei appigli in mezzo al caos sonoro dominante. A variare è l’approccio primitivo, volutamente portato all’estremo e lasciato a fluttuare, contorcendosi lungo tutto l’album. Non che in passato si componesse in modo molto diverso, intendiamoci – anzi, regna una certa continuità soffocante – ma stavolta il discorso si fa ancora più serrato, e alla lunga, esasperante.

Lo scream è un delirio di protagonismo, come se avesse il compito preciso di infrangere ogni fragile barriera eretta dalle chitarre. La registrazione, come da tradizione, è una zanzarosa creatura inumana, e non rappresenta certo una novità. Non allontanerà nessuno di coloro che hanno seguito Black Funeral fino a questo punto del percorso.

Vukolak è, a suo modo, stranamente affascinante. Proprio per questo non me la sento di bocciarlo, anche se forse dovrei. L’80% degli ascoltatori di black metal farebbe bene a starne alla larga, indipendentemente da ciò che abitualmente ascolta all’interno del genere. Il disco non è bello, trasmette pochissimo, e può soddisfare davvero solo i discepoli più fedeli di Nachttoter.

Personalmente (pur riconoscendo molte parti insipide) non posso negare che continuo a concedergli qualche ascolto. E se continuo a farlo, un motivo, in fondo, ci sarà. Questa è anche la magia, spesso indecifrabile, di questo stile musicale. Di certo Vukolak non finirà tra i miei preferiti della creatura statunitense. Il “senza voto” è da intendersi proprio così. Perché non ho alcuna intenzione di schierarmi né a favore né contro. E probabilmente questa recensione non servirà a nulla, visto che la volontà di prendere una posizione netta non mi sfiora nemmeno.

Chi conosce e segue Black Funeral da sempre non resterà sorpreso (ma non è affatto detto), e riuscirà ad ascoltare Vukolak senza problemi, forse persino con un certo piacere. Tutti gli altri lo troveranno semplicemente insostenibile. Ma attenzione: la linea è sottile, pronta a spezzarsi da un momento all’altro. Resistete, se ci riuscite. Altrimenti meglio cedere alla prima occasione. Quarantuno minuti non sono pochi.

Da segnalare la presenza di due cover “ben nascoste”: The Moonlight Glittered upon the Snow (Sorath) e Ars Upir Sabati (Gräuen Pestanz).

Riassunto

Behemoth Productions (2010)

Tracklist:

01. Into the Ballinok Mountains II
02. Under the Black Caul
03. Undead Hunger
04. Impaled Fields
05. Shades Gather Among the Blood
06. Sanctum Wamphyri
07. Vukolak
08. Wolfskin Essence
09. The Moonlight Glittered upon the Snow
10. Ars Upir Sabati
11. Ripping through the Aura
12. Mors Omnipotens

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