Antimatter – The Judas Table: Mick Moss e l’arte di scavare nell’anima
Ogni nuovo disco consolida e accresce, sta lì a muovere piccole cose infinitesimali che neppure noi sappiamo bene come controllare o decodificare. Con gli Antimatter, ogni nuova uscita stabilisce coordinate inedite all’interno di un campo fatto di assoluta coerenza, The Judas Table ce lo conferma.
Non si parla di repentini cambi di stile (sia mai!) o di preferenze variabili (ognuno avrà pur sempre i suoi “paletti discografici” fermi, posti fra prime o ultime produzioni). Ma di uno strano senso di compiutezza che puntualmente si manifesta quando si tira in ballo questo monicker e il suo speciale “malinconic alternative rock”.
È come se ogni volta mi trovassi ad ammettere, fra me e me, l’esistenza di un nuovo apice. Di un rinnovato livello di maturità raggiunto, con la consapevolezza che tutto ciò può voler dire tutto e il suo esatto opposto. Era capitato con il precedente Fear of a Unique Identity e accade nuovamente adesso con The Judas Table, un album che rimette in subbuglio certezze e tabelle, una bomba rimasta inesplosa sino ad oggi nel corpo di Mick Moss. Ma il momento di farla “brillare” è arrivato, e con essa tutti quei panni sporchi con cui bisogna quotidianamente lottare.
La sacralità della continuità: ogni album rappresenta un tassello importante
Sono diventati sei i dischi, tutti figli del medesimo approccio, ma con sempre qualcosa di preciso in movimento. L’oscurità iniziale ha lasciato lentamente spazio alla malinconia, all’esposizione di una creatura sempre più nuda, fragile e consapevole di esserlo. Impossibile scegliere, anche al di là delle più logiche preferenze. Ad esempio, riconosco che il il nuovo The Judas Table sia migliore di Fear of a Unique Identity, eppure se dovessi scegliere quale dei due ascoltare non saprei proprio che fare: probabilmente andrei a tirare a sorte. Questa linearità è in qualche modo sacra. Arrivi lentamente a comprendere come un nuovo tassello non possa fare a meno di quello precedente, tanto che ogni volta bisognerebbe ripartire da zero, dall’inizio, per cominciare poi una clamorosa scalata verso il festeggiamento di una nuova nascita (che non è mai scontata, anche se parliamo di Antimatter).
Black Eyed Man costituisce l’ingresso di casa, un ingresso che non faticheremo a riconoscere e fare nostro. Il rintocco oscuro abbraccia, la voce di Mick è sempre lì, a rappresentare una persona che saprai essere sempre vicina. Tutta la quieta poesia sgorga, bella e pura, direi al massimo delle aspettative. L’acustico e l’elettrico vanno spesso a braccetto, creando quell’eleganza determinata, quel crescendo che ormai è un loro trademark. Che parole possiamo adoperare, ad esempio, per Stillborn Empires? Fra le “inchiodate” migliori tra dolcezza e vigorosità.
allate, emozioni, lacrime: la seconda metà di The Judas Table
Killer sembra voler far esplodere e coabitare vecchie e nuove anime/sensazioni del progetto, Comrades ferma invece il tempo, lasciando i pensieri a scorrere inebetiti. Little Piggy è una ballata che riconosceresti come loro lontano un miglio (immancabili gli archi e la presenza della voce femminile), “rassicurata” dalla voce di Mick che sembra sussurrarci direttamente le parole all’orecchio. Chitarra e voce, un’unica luce sul palco per la toccante Hole (al termine arriveranno a dar forza il violino e la voce di Jenny O’Connor). Una canzone che lancia un’ultima parte per niente debole. Troveremo difatti l’ottima e praticamente già classica Can of Worms. La bellissima Integrity (pezzo sul quale lasciare discrete quantità di lacrime, davvero indescrivibile, già partendo dal mood iniziale alla Dead Can Dance) e la fermezza di una title track prima del breve epitaffio intitolato Goodbye.
In questo modo, trovare le parole diventa sempre più difficile, ma di sicuro difficile non è lasciarsi andare fra le semplici braccia di un disco firmato Antimatter. Finché la qualità bacerà le composizioni di Mick Moss, non ci sarà da temere. E pazienza se finiremo con il ripeterci: alla fine è tutto cibo per l’anima, e lì le parole non servono affatto.
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85%
Riassunto
Prophecy Productions (2015)
Tracklist:
01. Black Eyed Man
02. Killer
03. Comrades
04. Stillborn Empires
05. Little Piggy
06. Hole
07. Can of Worms
08. Integrity
09. The Judas Table 10. Goodbye