Un fattore è certo: Jayn Maiven sta scalando posizioni e stuzzicando livelli di interesse generali nella scena cupamente sognante del dark/folk (anche se fusa saldamente a fertili strutture eteree ed essenziali slanci doom).
Non poteva essere che la Prophecy Productions a portarci The Buried Storm, seconda fatica dell’artista inglese (etichetta che giustamente, e senza pensarci due volte, ristampa pure il debutto Realms) e noi si resta pietrificati, immaginando scogliere impervie e climi tumultuosi; eventi pronti ad avvinghiarci, trainarci e travolgerci tra urla di venti sferzanti, sotto il picchiettare di una fitta ed insondabile pioggerellina (mentre in lontananza si notano fatiscenti costruzioni di altre epoche abitate da chissà cosa).
Noi siamo alle porte dell’estate e questo non è certo il periodo migliore per ascoltare il secondo lavoro Darkher. Certo, l’immaginazione e il sapersi fondere a certe atmosfere giocherà il suo bel ruolo fondamentale, ma una piccola spinta “esterna” dovrebbe giovare non poco all’esperienza sonora, o quantomeno accrescerne il valore nostalgico/malinconico che penso sia anche il fulcro principale posto alla creazione della musica della sacerdotessa Jayn.
The Buried Storm è la naturale evoluzione di Realms (questo lo capirebbe anche un sordo). Ci appare più snello e meno avvinghiato ai circuiti di spinta doom, voglioso di dare, pur seguendo una crescita precisa, che porta la musica Darkher ad essere più concisa e contorta al contempo, di certo non più semplice da seguire. In parole povere stiamo assistendo ad una crescita, riscontriamo maggior eleganza e anche la voglia di lasciare un segno indelebile all’interno della nostra singola esperienza.
Non possiamo restare che stupefatti. Sia Realms che The Buried Storm ci frappongono ai nostri demoni, arrivano in punta di piedi (lievitando) e in forma praticamente perfetta a rappresentare un tipo di accompagnamento sperato, sospirato, cullato a lungo. Spesso mi ritrovo a pensare ai Dark Sanctuary quando ascolto Darkher, solo che l’impronta della Maiven riesce a trasportare la loro tipica tragicità su uno scenario personale, snello e diverso, perfettamente calzante alla propria origine geografica (l’impronta lirica è molto rispettosa a riguardo).
The Buried Storm si compone con eleganza straordinaria, aumenta il proprio volume aggiungendo piccoli tasselli sonori che marchieranno indelebilmente (violoncello e violini gettano il loro manto luttuoso e fanno assoluta differenza) la nostra anima. L’opener Sirens Nocturne messa lì davanti ne è fulgido esempio, prima di poter affogare le lacrime dentro la grigia, impenetrabile e sontuosa Lowly Weep (il suo finale mi possiede ogni volta), sorta di scossa interiore che vi pietrificherà solo al momento giusto.
Si prosegue sulle note pizzicate e dannate di Where The Devil Waits (il tipico brano che porterà alla sorgente nuovi ascoltatori) e su quelle vibranti ed oscure di Love’s Sudden Death prima di una eterea ed ammaliante The Seas. In coda prima Immortals e poi la tragicità di Fear Not, My King avranno cure materne, facendoci sentire ormai al sicuro e pronti a fare girare The Buried Storm ogni volta che inquietudine o “tenebre interiori” lanceranno il loro affascinante richiamo.
Visioni ultraterrene arrivano dalla voce della Maiven. Spettri, anime e corpi fusi, intrecciati, concentrati nel fornire il meglio possibile restando però coerenti, vivi e viscerali con una precisa impronta/volontà creativa di fondo.
Summary
Prophecy Productions (2022)
Tracklist:
01. Sirens Nocturne
02. Lowly Weep
03. Unbound
04. Where The Devil Waits
05. Love’s Sudden Death
06. The Seas
07. Immortals
08. Fear Not, My King