Amberian Dawn – Innuendo

Innuendo: il ritorno leggero e stratificato degli Amberian Dawn

È passato più o meno un anno dal rilascio di Magic Forest, ma i finnici Amberian Dawn non sono tipi da lasciare spazio al tempo o alle troppe parole. Così sfruttano – giustamente – il momento, ma soprattutto dimostrano di credere nella voce della cantante Capri. La sua scoperta, per quanto possibile, ha dato loro nuovo smalto e la capacità di ripartire da fondamenta pressoché immutate.

È solo un altro disco degli Amberian Dawn.” Potrebbe iniziare e finire con questa grande verità la recensione di Innuendo, sesto “fantasioso” capitolo della band (il secondo con la potenza Napalm Records alle spalle), ma capisco che sarebbe davvero troppo poco – per non dire squallido – chiuderla qui. Rispetto al suo predecessore ho registrato qualche punticino di gradimento in meno. Ma sono comunque bazzecole, perché i due album si possono tranquillamente accomunare fino alla spartizione equa dei loro momenti migliori.

Tra meriti e qualche difetto

Praticamente tutta la differenza sta nel “negativo”. Il difetto di Innuendo è che quando molla, lo fa in maniera spiccata. Ma anche questa sarà solo una questione di sensazioni soggettive. Come al solito, ci sarà chi lo adorerà indistintamente da cima a fondo, chi salverà due o tre brani, e chi invece ci passerà un’ascia sopra, tranciando di netto il tutto. Devo però spezzare più di una lancia a favore dell’operato degli Amberian Dawn. Le loro composizioni, per quanto lineari e poco personali, riescono sempre a prendersi un loro spazio. Diciamo che ascoltare un loro disco è come assaggiare un gusto agrodolce, ma con la garanzia che a predominare sarà sempre il “lato al miele”.

Come si conviene a ogni buon disco di power metal sinfonico, i brani caldi li troviamo tutti all’inizio. Però Innuendo ha la dote di stupirti anche nel mezzo e durante la sua coda. Lo fa in modo così speciale che finisci quasi per dimenticarti dei famosi inni d’apertura. È sicuramente questo il pregio migliore di un album capace di apparire ben diluito, oltre al solito fatto di essere “leggero come una piuma”.

Ladyhawk, Rise of the Evil e Fame & Gloria: i vertici dell’album

In questa tornata ho trovato l’attitudine Stratovarius più marcata e rigogliosa. Lo si evince chiaramente da brani come Ladyhawk (il ritornello concorre al titolo di migliore del disco), The Court of Mirror Hall e dalla velocissima – e da me graditissima, con una Capri da adorare – Rise of the Evil, ma è pronta a infettare qua e là anche altre tracce. L’opener Fame & Gloria ha il compito di alzare il sipario con potere persuasivo. Il brano è potente, evocativo (per quanti refrain possano esistere, per quanti si somiglino, alla fine ci sono sempre quelli che non puoi far altro che accettare e canticchiare) e dotato di quell’aura magica che non potrà mai mancare a un loro pargoletto. Si parla del lato Nightwish, giusto per intenderci, ben presente anche su Chamber of Dreadful Dreams.

La title track e Knock Knock Who’s There aggiungono legna al lato più semplice e ruffiano. Sulla seconda, in particolare, arriverete a chiedervi se non sia in ballo qualche cover sbarazzina e scanzonata degli ABBA (sorrisi stupidi in volto, ma che caruccia che è!). Le note dolenti le ho registrate sul “tragico lento” Angelique, stranamente poco convincente – anche se non è così obbrobriosa – e sulla misteriosa, più lunga Symphony Nr 1, Part 1 – The Witchcraft. Sull’ultima Your Time – My Time non mi sbilancio troppo: ci sono cose buone e altre meno, che finiscono per coabitare civilmente.

La strada intrapresa è quella giusta. Capri, in ogni caso, è quella giusta per riuscire ad aiutare e consolidare la loro posizione che, si sa, non è pirotecnica, ma sa avanzare facendo il suo.

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Summary

Napalm Records (2015)

Tracklist:

01. Fame & Gloria
02. Ladyhawk
03. Innuendo
04. The Court of Mirror Hall
05. Angelique
06. Rise of the Evil
07. Chamber of Dreadful Dreams
08. Knock Knock Who’s There
09. Symphony Nr 1, Part 1 – The Witchcraft
10. Your Time – My Time

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