Summoning – Old Mornings Dawn

Sette anni di attesa per la settima perla, tempo perso nel pensare ad un qualcosa di certo e chiaro, qualcosa di già conosciuto pronto a riemerge prepotentemente in tutto il suo splendore. Materia Summoning, non si sbaglia, d’altra parte bastava già la gloriosa storia passata, ma il loro silenzio faceva presagire grandi cose, un silenzio imponente, svelato solo con il contagocce, a piccoli pezzi è dunque arrivato a noi per inondarci dapprima grazie al suo artwork, poi con la sua ora complessiva di “azione”. Un tuffo nel passato perché i Summoning non cambiano (e cosa diamine vi aspettavate?) e uno nel presente perché l’opera mantiene inalterato quel lieve “progresso” portato avanti a piccoli bocconi su Oath Bound. Quindi dosi massicce di “fantasy extreme metal” cucite su cori epici e maestosi, qualcosa che ci sussurra qualcosa come: “allontaniamoci gradualmente da quella forma primitiva di un tempo per arrivare a perfezionarla sempre più“. E’ un po’ come se cercassero di rifare lo stesso film con mezzi sempre migliori e contemporanei, implementando di volta in volta l’esperienza acquisita dal “girato” precedente.

Old Mornings Dawn è lento (e di nuovo, che vi aspettavate?), ma riesce ad essere al contempo l’album più “commerciale” e quello più “difficile” della loro discografia. Certe canzoni esigono giorni -se non settimane- prima di poter venir assegnate alla loro dimensione “immortale”, prima ci saranno diversi dubbi, dubbi del tipo: “questa è meglio di quella, questa potevano anche toglierla etc etc”. Ma alla fine Protector e Silenius avranno sempre la meglio, perché questo è il loro territorio, la musica che hanno plasmato, creato e fatto crescere nelle ere, la loro musica che si evolve mantenendo inalterate le sacre radici principali. Eppure restando fondamentalmente la stessa si allontana sempre più da quella sensazione di “black metal” che un tempo l’avvolgeva prepotentemente, questo forse l’unico rammarico lasciato mano a mano indietro sul loro spumeggiante percorso. Ora sono la ricerca del coro epico e di una sorta di “tribalismo ossessivo” a farla da “eroi”, ma fortunatamente loro sono molto bravi nel portare a compimento le azioni, tanto bravi da farti dimenticare certi risvolti per fartene approvare di nuovi (almeno nel mio caso). Sotto certi aspetti distribuire un voto ai Summoning è oggi pressoché inutile, si sa già verso dove si corre, verso cosa si va incontro e questo basta e avanza, ma allo stesso tempo diventa facile posizionare i loro tasselli discografici in base alle proprie preferenze, le mie restano fisse da tempo immemore sul binomio Minas Morgul/Dol Guldur, ma il resto stà subito dietro a contendersi un terzo posto che potrei modificare di volta in volta in base a chissà quale lampo caduto dal cielo. Nonostante attese e voglie incontenibili non avrei mai pensato che in questa lotta ci sarebbe finito anche Old Mornings Dawn, ma tant’è, “piacevole d’essere stato sorpreso”.

E allora via alla goduria prodotta da Flammifer (pura incantata spiritualità), un brano che consideravo debole e che invece è cresciuto così tanto da diventare quasi il preferito di quest’opera. Via ad una title track perfetta per incedere, forte della sua poderosa coralità e dei suoi incantati fraseggi, via ad una The White Tower che mi ha riportato -chissà come- ai tempi del già menzinato Dol Guldur. Gioia tormentosa con quel “lamento” femminile di Of Pale White Morns and Darkened Eves (per la serie “cose che non escono più dalla testa”….solo loro…solo loro..) e i sentori drammatici di Caradhas (Redhorn…My Doom!!). Una costruzione semplice ma sana, è questa la caratteristica vincente dei Summoning anno di grazia 2013, a spiegarcelo al meglio ci pensa la poetica e struggente The Wandering Fire. L’illustre duo di certo sa come chiudere un disco nel miglior modo possibile, Earthshine (bella l’intonazione vocale roca) deposta in quel modo è solo l’ultima malinconica tappa da “dover sopportare” prima di ripetere nuovamente il cammino daccapo.

Si è soliti consigliare l’approccio di una band con i primi capolavori, i Summoning sovvertono in parte queste “regole”. Non li conoscete? Allora Old Mornings Dawn potrebbe essere per voi un piacevole motivo di incontro, l’inizio di un cammino a ritroso sino alle origini, l’unico compromesso da tenere presente sarà il fattore pazienza, l’abilità di saper affrontare viaggi statici e molto simili fra loro, ma se vi colpiscono saltate pure in carrozza perché non la abbandonerete più. Così alla prossima occasione potrete dirvi con tutto l’effetto tragicomico del caso: “Cosa vi aspettavate?”.

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Summary

Napalm Records (2013) Tracklist: 01. Evernight 02. Flammifer 03. Old Mornings Dawn 04. The White Tower 05. Caradhras 06. Of Pale White Morns and Darkened Eves 07. The Wandering Fire 08. Earthshine