Aborted – Global Flatline: quando la brutalità incontra la perfezione tecnica
Quando si tratta di parlare di buoni dischi, non è mai troppo tardi.
Così come non è mai banale ribadire le solite verità sui soliti gruppi: quelli che non deludono mai, che sembrano capaci di generare solo pura magnificenza. Come nel caso degli Aborted e del loro Global Flatline.
Gli Aborted sono una band che da sempre fa la differenza nel lato più brutale, chirurgico e gore del metal estremo. Non fa eccezione il loro settimo album intitolato Global Flatline. Il perfetto anello di congiunzione tra il death metal più tecnico e blasfemo e il grind trasmesso dai Carcass tanto tempo fa. La loro ricerca maniacale della perfezione si fonde con una sete insaziabile di violenza, la capacità di variare la struttura dei singoli brani senza mai snaturare la propria identità, e un songwriting lucido e ragionato, studiato per colpire e ferire, senza concedere tregua all’ascoltatore.
Quando l’estremo diventa arte: il suono disumanizzante degli Aborted
Global Flatline è esattamente questo: una forza inarrestabile che si abbatte su tutto e tutti, in particolare sulle nostre vie acustico-psichiche. Sotto certi aspetti, rappresenta il raggiungimento della perfezione sonora applicata alla brutalità: qualcosa che, tempo fa, ci saremmo potuti solo sognare. A volte penso che per comprendere davvero dischi di questo tipo, bisogna ragionare e sentire come macchine. Ed è qui che questa musica diventa una lama a doppio taglio: estrema, sì, ma anche potenzialmente disumanizzante.
Gli Aborted sono carneficina pura, che trova un’apparente tregua solo con l’ultimo brano in scaletta, Endstille. Un pezzo che potrebbe far intravedere un possibile cambio di direzione pachidermico, o forse è semplicemente un modo anomalo di chiudere un disco che fino a quel momento ha avuto un andamento “lineare” solo nella sua devastazione. Non ci sono brani troppo lunghi o troppo brevi. Ogni pezzo arriva esattamente dove deve arrivare, si ferma quando serve, senza mai strafare. Anche i rari momenti melodici non risultano fuori luogo, anzi, si fanno notare per la loro intensità emotiva, come nel caso di quel “lies upon lies, upon lies” in Our Father, Who Art of Feces.
Global Flatline: death metal pensato per colpire e ferire
I 45 minuti di Global Flatline scorrono rapidi e fanno male. Il massimo dei voti va sicuramente alle chitarre, che vomitano riff di ogni tipo: inizialmente folli, poi schizofrenici, infine soffocanti. Una pioggia di cemento armato gettata senza pietà su un corpo che, nonostante tutto, è ancora vivo e pulsante.
Impossibile non spendere parole di elogio per la prestazione spaventosa di Ken Bedene dietro le pelli, e per il solito, camaleontico Sven de Caluwé al microfono. Quest’ultimo è semplicemente fantastico (sì, lo so, è una banalità, ma è così), un’esplosione di carica e passione, frutto della continua ricerca di un’estremizzazione personale. I suoi cambi di registro non appesantiscono mai il massacro sonoro, ma lo impreziosiscono con intelligenza. La sua performance è molto più che una classica valvola di sfogo: è un elemento determinante per la riuscita di ogni singola traccia.
Songwriting in stato di grazia, produzione chirurgica atta a valorizzare ogni musicista. Basta questo per strisciare verso gli Aborted e il loro Global Flatline. Perché farsi macellare così non è mai stato tanto terapeutico.
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77%
Summary
Century Media (2012)
Tracklist:
01. Omega Mortis
02. Global Flatline
03. (The Origin Of Disease)
04. Coronary Reconstruction
05. Fecal Forgery
06. Of Scabs And Boils
07. Vermicular, Obscene, Obese
08. Expurgation Euphoria
09. From A Tepid Whiff
10. The Kallinger Theory
11. Our Father, Who Art Of Feces
12. Grime
13. Endstille