Solstorm – Un esordio magnetico tra sludge, doom e noise
Sludge, doom, stoner, post metal, noise: tutto questo è racchiuso nel raffinato esordio dei norvegesi Solstorm. Un autentico “signor debutto”, questo disco omonimo è un viaggio capace di affascinare l’audace ascoltatore tramite spire acute e scariche elettriche dosate con la sapienza di veterani. L’anno prima erano stati i francesi Eibon a sorprendermi in questa interessantissima – e non facilmente circoscrivibile – diramazione estrema. Nel 2011 ci hanno pensato loro, con questo “trip” sonoro di non poco valore.
Prima di tutto bisogna ringraziare (e farci i dovuti conti) la produzione. L’uscita delle chitarre è straordinariamente potente, capace di sradicare colonne vertebrali con evidente facilità. A potenziarla c’è un “vociare” roco, un magico illusionista e cantore di scenari tanto aridi e secchi quanto oscenamente metropolitani. Ma non finisce qui: l’ultima portata arriva dal reparto effetti, capace di conferire sensazioni di puro distacco, caos e freddezza, tutto in beata simultaneità.
Lasciarsi travolgere senza filtri: la forza della totalità
Variegate le sensazioni che si respirano all’interno di Solstorm. Ci troviamo di fronte al classico prodotto da prendere senza troppi orpelli o pensieri – l’azzeramento mentale è quindi doveroso – e da ascoltare come un’unica lunga traccia. Il vero obiettivo è il “lasciarsi andare”. Chi riuscirà nell’intento verrà premiato in abbondanza da una musica che trasmette rabbia, sfogo esanime e persino cocente frustrazione. Tante belle parole per dire che Solstorm è un lavoro completo e roccioso, ricco delle sue disfunzioni e delle sue “dissonanze magnetiche”. Un disco che ha saputo soddisfarmi completamente.
I due minuti di Art of Creation rappresentano il tormento introduttivo ideale prima della completa deflagrazione di The Sun Will Appear From The West, vero fiore all’occhiello dell’album. È un brano dal perfetto svolgimento strutturale, un’affascinante nenia senza tempo. La prova canora mi procura non poca esaltazione, così come il cambio di tempo dopo circa due minuti. I suoni, i continui rallentamenti, gli arpeggi lenti contribuiscono a creare un’atmosfera intensa, ma in qualche modo “altrove” (ascoltatelo e ditemi voi cosa manca a un pezzo del genere, vi prego).
La doppietta On This Barren Rock e Manhattan Mass è poi fondamentale per la riuscita dell’album. La prima è organica ma possente (con ottimi spunti melodici, su tutti l’effetto “alieno” collegato a un’energica ripartenza) e si chiude con un finale da pelle d’oca. La seconda eleva il termine “epico” accostandolo al loro nome. Manhattan Mass è uno spartiacque, un momento chiave, roccioso e difficile da affrontare, ma determinante per l’attraversamento verso l’altra sponda, costituita dagli ultimi tre pezzi.
La chiusura perfetta di un viaggio disturbante
Il primo di questi, The Carrington Event, è anche il più “semplice” nello stock. Una formula accurata, accudita e poi sputata in faccia all’ascoltatore senza troppi fronzoli. Poi ci penserà Exhumation a regalare gli ultimi chiaroscuri, altro grande momento prima dei due minuti conclusivi di Art of Destruction, dove il cerchio si chiude definitivamente, una volta per tutte.
La Duplicate Records ha puntato sul cavallo giusto con questi norvegesi (almeno qualitativamente parlando), producendo un disco di vibrante spessore, imponente e poco incline al pavoneggiarsi.
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75%
Riassunto
Duplicate Records (2011)
Tracklist:
01. Art of Creation
02. The Sun Will Appear from the West
03. On This Barren Rock
04. Manhattan Mass
05. The Carrington Event
06. Exhumation
07. Art of Destruction