Domination: il quindicesimo ruggito dei Primal Fear è davvero ben riuscito
L’appuntamento con l’ennesimo nuovo disco dei Primal Fear è una tappa obbligata per il sottoscritto, e con Domination non si fa eccezione. Il cartellino viene timbrato nuovamente nei tempi stabiliti. Qualche novità si riscontra, anche se non riguarda il songwriting, che resta coriaceo e rispettoso della tradizione della band.
Quando una band decide di rivoluzionare la propria formazione, il rischio di perdere equilibrio e identità è sempre dietro l’angolo. Ma veramente potevamo pensare questo per la band di Mat Sinner e Ralf Scheepers ? Eppure, i Primal Fear hanno scelto di non voltarsi indietro. Circa un anno fa, in tempi rapidissimi, hanno rinnovato la line-up, salutando volti ormai storici e accogliendo nuove energie. L’ingresso della chitarrista nostrana Thalìa Bellazecca e del batterista André Hilgers ha portato una ventata d’aria fresca. Poi c’è Magnus Karlsson all’altra chitarra (nella band dal 2008), che completa una line-up in grado di sfornare uno dei migliori dischi della loro carriera.
Eh si, l’ho proprio detto. Sarà forse un caso oppure no, ma in questa occasione i Primal Fear alzano l’asticella del valore. Questo nonostante i precedenti Code Red e Metal Commando fossero tutt’altro che dischi da scartare.
Sensazioni positive e conferme: Domination è più di un buon primo impatto
Domination mi aveva trasmesso sensazioni positive e spunti interessanti già dopo un primo ascolto. In questo caso il timore era quello di trovare un album che non migliorasse nel tempo ma per fortuna, posso assicurarvi che ciò non è successo. Anche i “ripassi” successivi mi hanno confermato la bontà del tutto, con la freschezza e la voglia di colpire attraverso un trademark ormai conosciuto a menadito.
Questo quindicesimo capitolo della loro carriera testimonia un rinnovato slancio. In meno di un’ora, la band tedesca unisce la consueta potenza a una più ampia apertura melodica. Domination cova un raro coinvolgimento grazie a una scrittura più fluida e a un sound che mantiene la forza tipica del gruppo, senza rinunciare a diversi trucchi legati all’accessibilità. Il risultato è compatto ed energico, arricchito da assoli incisivi che colpiscono con la precisione e la determinazione di uno sguardo d’aquila focalizzato sul bersaglio.
Spirito anni ‘80 ben radico, senso malinconico a guarnire su diversi pezzi e il classico power metal tedesco vengono fusi a dovere con le consuete matrici Judas Priest/Accept. Come ogni buon disco dei Primal Fear che si rispetti, abbiamo una prima parte davvero “infuocata” e capace di spiccare sul resto. Non mancherà il brano più cadenzato e poi quelli che ci accompagneranno verso la conclusione (che fanno sempre un pochino di storia a parte).
I Primal Fear al massimo regime: tra classici istinti e sfumature vincenti
L’attacco di The Hunter è solido e l’opener è davvero di quelle che non dimentichi facilmente. Destroyer aumenta il carico: il classico DNA della band entra in azione, il bridge lavora bene e poi si parte sulle ali di un ritornello nostalgico. Ecco spiegato in breve uno dei motivi per cui adoro questa formazione.
Far Away e Heroes and Gods si prestano al lato più power, la prima pensa all’attacco mentre la seconda gioca sull’ossessività di un refrain epico, un po’ ridondante ma di presa. Categoria a parte fanno I Am the Primal Fear (già mitica per quanto mi riguarda, un pezzone) e la lunga Eden che vede Ralf duettare con Melissa Bonny degli Ad Infinitum.
Tears of Fire ci regala un refrain super malinconico da cantare a squarciagola. Una vera prelibatezza che ci spinge con voglia verso la seconda parte di Domination. Scream cresce compatta e a seguito di nuovi ascolti (altro chorus che ho finito per adorare), mentre con The Dead Don’t Die sale il feeling e devo dirlo proprio: quanto gasa quel “You can never ever bring me down”?
Anche Crossfire ha uno di quei ritornelli in grado di restare conficcati per bene nella testa. March Boy March scaglia le sue frustate finali prima del congedo affidato alla lentezza melodica di A Tune I Won’t Forget.
Il marchio Primal Fear è ancora lì, con nuove sfumature e una ritrovata vitalità, il loro Domination è una chicca che ci meritiamo proprio di possedere in questo 2025 metallico.
Summary
Reigning Phoenix Music (2025)
Tracklist:
01. The Hunter
02. Destroyer
03. Far Away
04. I Am The Primal Fear
05. Tears Of Fire
06. Heroes And Gods
07. Hallucinations
08. Eden
09. Scream
10. The Dead Don’t Die
11. Crossfire
12. March Boy March
13. A Tune I Won’t Forget