Paradise Lost tornano grandi con Tragic Idol: epico, malinconico, potente
Grandi, anzi grandissimi Paradise Lost. Dopo aver sperimentato, ed essere parzialmente tornati alle origini, adesso realizzano anche un disco totalmente infangato nel periodo Icon. Ebbene sì, Tragic Idol è proprio questo, infine: un disco che disossa un periodo che sembrava non più contemplato. A volte, il buonsenso o l’evitare ingombranti paragoni parrebbe la migliore opzione possibile. Nessuno – o quasi – riesce a ripetere i fasti passati. Così si farebbe prima a non provarci nemmeno, prima ancora di pensare a un tale azzardo.
Per fortuna, la band inglese ci ha pensato per bene: le situazioni sono maturate, la linfa vitale si è rifatta abbracciare, e baciati dalla provvidenza, i Paradise Lost hanno saputo partorire un autentico miracolo. Tragic Idol è un disco destinato a rimanere a lungo nei ricordi, anche se sarà sempre un gradino sotto i capolavori passati (l’unico difetto è l’essere arrivato dopo). Poco importa però, perché le dieci canzoni sono una più bella dell’altra (da quanto non capitava), nessuna di esse abbassa il livello faticosamente raggiunto. Anzi, si assiste perfino a una sorta di “strano crescendo”, una forza che sfocia in tutta la sua grazia nella conclusiva e lenitiva The Glorious End.
Dal primo sguardo alla prima nota: coerenza visiva e sonora a regola d’arte
D’altronde la copertina anticipava già belle cose. Non so voi, ma io appena l’ho vista ho pensato subito a qualcosa di grandioso e di “vecchio”. L’immagine si sposa perfettamente con la decadenza qui musicata da Nick Holmes e soci. Poi, cosa si può ancora dire di nuovo sulla coppia Aedy/Mackintosh, senza dover aggiungere banalità alla banalità? Penso nulla. Le loro chitarre sospese e malinconiche rivivono di spirito autoritario: ogni riff è possente e scandito, ogni singolo passaggio enfatizzato a dovere dall’interpretazione di Holmes, unica, favolosa e subito distinguibile tra mille.
Produzione corposa e traboccante: la dimostrazione di come si possa suonare retrò facendo uso dei potenti mezzi messi a disposizione di questi tempi.
Con Solitary One si consuma la prima cerimonia, ogni canzone successiva alimenta il tragitto (nei panni di un’atipica liturgica processione), come farebbe una singola goccia in un piccolo recipiente. Non so da dove abbiano tirato fuori questi pezzi, se le idee appartengano al passato o meno, ma brani come Crucify, Fear Of Impending Hell (signore e signori, questa è la pura espressione di epicità secondo il Paradise Lost pensiero) o Honesty In Death sono veri e propri capolavori (altre parole, in questo caso, non soggiungono).
Tragic Idol non inciampa: solo certezze e sentieri riconquistati
Anche le migliori band incappano in qualche distrazione durante un buon disco: questo non succede su Tragic Idol, perché brani come la title track, Theories From Another World (quanto e come trascina!), In This We Dwell e Worth Fighting For sono tutti, a loro modo, importantissimi. Tappe obbligate di un sentiero magicamente ritrovato, un sentiero che stiamo nuovamente ricominciando a identificare e a fare nostro. Mai si registra quella fastidiosa sensazione di noia, rigetto o di qualcosa suonato “sotto particolare tortura”. Sarà anche grazie a questo che il disco decolla e fa pienamente breccia dentro le nostre interiora ormai usurate.
Lo possiamo dire: nel 2012 i Paradise Lost hanno fatto un miracolo (neppure mezzo, ma totale!). Stiano dunque bene attenti gli eterni delusi. Questa volta, qui, non si sbaglia. Questa volta giriamo ed entriamo per davvero nella sacra ruota del tempo.
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82%
Riassunto
Century Media Records (2012)
Tracklist:
01. Solitary One
02. Crucify
03. Fear of Impending Hell
04. Honesty in Death
05. Theories from Another World
06. In This We Dwell
07. To the Darkness
08. Tragic Idol
09. Worth Fighting For
10. The Glorious End