Paradise Lost – Obsidian

Quello che si sono messi a fare i Paradise Lost da un po di tempo a questa parte è ciò che ogni fan “deluso” si auspica per la sua (o sue) band del cuore. Con loro, come possiamo chiamarlo…. Miracolo? è realmente avvenuto ed il bello è che sta ancora espandendo il suo potere.

I Paradise Lost conoscono ormai come le loro tasche le acque che navigano. Stanno lì, girano in tondo come pazienti predatori, pensano, elaborano e poi se ne escono fuori con del materiale di assoluto livello. Sembrano aver raggiunto una sorta di “zen” una volta fatta la proverbiale “pace con loro stessi”. Ormai deposte da anni idee e fluttuazioni varie di metà carriera (da andare a riscoprire in ogni caso) per buttarsi a capofitto su quella qualità a cui tutti si erano fatti la bocca sino ad un certo punto.

Il precedente Medusa aveva persino sistemato –per quanto possibile-  in parte i seguaci dei primissimi lavori, si poteva benissimo considerare un determinato cerchio come chiuso e sepolto con stile. La situazione era diciamo divenuta “ideale” per una nuova apertura a certi finestroni inediti (giusto per non dire sconvolgenti). Dall’altro lato però era arrivata la Nuclear Blast, etichetta che di sicuro si era assicurata un certo tipo di musica per poter proseguire l’accordo. Quello che arriva oggi con Obsidian penso sia una sorta di saggia “strada a metà”, un disco che non eccede nel primordiale come il suo predecessore, ma che continua l’operosa azione di una formazione in stato –possiamo dirlo- di assoluta grazia.

Obsidian si presenta con nove pezzi, nove mattoni speciali, esposti e suonati in modo impeccabile da dei Paradise Lost ormai calati appieno nella parte. Da maestri i primi cinque snocciolati in scaletta (ognuno diverso dall’altro) che va per i fatti suoi nel stabilire diverse ed elevate sfumature della band. Diventa così difficile reggere tale urto per una seconda parte onesta e accattivante (ne scopriremo il reale valore solo se accuratamente esaminato), che si lascia volere bene sul ritornello di Ending Days e sul finale intenso e schiacciante di Ravenghast.

Darker Thoughts tra archi e una prestazione maiuscola di Holmes arriva a lambire attimi di pura meraviglia (tormentone 1: God asks not!) impossibili da lavare via. Fall From Grace riunisce invece l’anima più oscura a quella melodica per un pezzo pronto a guadagnarsi punti ad ogni nuovo ascolto (tormentone 2: We’re all alone). Come brano più immediato i nostri propongono l’incredibile Ghosts, per l’occasione verrà anche assunto il nuovo nome di Paradise N’Mercy (echi lambiti pure in occasione di Hope Dies Young); la canzone funziona tantissimo e promette adeguati sfracelli (tormentone 3 : For Jesus christ), particolarmente indicata per chi ha seguito l’evoluzione dei Tiamat. Si prosegue poi con The Devil Embraced, qui si rallenta sul serio ed entrano in piena funzione i colori delle chitarre della coppia Mackintosh/Aedy (ah, tormentone 4: Foolish Trust, the Devil embraced). Coppia ancora sugli scudi su una Forsaken pronta a rievocare i tempi “intoccabili” di Draconian Times (tormentone 5: Reverence, you’re taking).

Il livello immenso raggiunto dai Paradise Lost si evidenzia ulteriormente nella gestione vocale di Nick Holmes. Laddove non c’è più direzione si usa lo stile al momento più calzante senza guardare troppo a cosa prevarrà. Chapeau!

Non si raggiungono i livelli complessivi di Tragic Idol per quanto concerne l’ultimo spezzone di carriera, ma è anche vero che da li non si va troppo distanti.

77%

Summary

Nuclear Blast Records (2020)

Tracklist:

01. Darker Thoughts
02. Fall From Grace
03. Ghosts
04. The Devil Embraced
05. Forsaken
06. Serenity
07. Ending Days
08. Hope Dies Young
09. Ravenghast