Orphans of Dusk – Revenant

Orphans of Dusk – Revenant: il debutto gothic/doom che incanta e fa promesse

Un’ottima realtà chiamata Orphans of Dusk si affaccia speranzosa sul panorama gothic/doom di classe. L’affare è di quelli grossi, la consistenza del materiale parla da sola, e l’attenzione delle etichette diventa un fattore automatico (per l’occasione assistiamo all’unione di Hypnotic Dirge Records e Solitude Productions).

Troppo facile dare fiducia sulla base di questo EP d’esordio intitolato Revenant (diamine, lo farei pure io). Gli Orphans of Dusk provengono dall’Oceania (per metà australiani e per metà neozelandesi) e ci offrono una musica di cui sentivamo il bisogno. Certamente non tutti si stropicceranno gli occhi una volta letta l’etichetta “gothic/doom”. Forse sarà necessario aggiungere qualcosa per invogliare, per spingere le correnti verso questo monicker che sembrerebbe rappresentare l’esatto contrario del suo attuale “status anonimo” (incrociamo le dita e speriamo di sentirne riparlare, viste codeste promesse).

Tra Shape of Despair e Type O Negative: le influenze della band

Tre nomi più uno, per decidere se stare con gli Orphans of Dusk o meno. Quattro nomi che scattano subito: tre come riferimento assoluto, uno per vicinanza e convenienza geografica. I primi sono sicuramente Shape of Despair, My Dying Bride e Type O Negative (dai primi due lo stile predominante e una certa “ariosità angelica” tastierosa; dai terzi, qualche liquida sospensione, più alcune vaganti concessioni liriche che vanno pure a braccetto con quelle firmate Paradise Lost). L’altro nome è il meno noto Avrigus (poche cose, eppure tutte da ricordare). Il trionfo, da qualsiasi parte lo si guardi, è di quelli eccezionali.

La musica agisce lenta, ma l’impatto fa l’esatto opposto. Bastano giusto i primi secondi di August Price per restare increduli e simil-paralizzati. Le antenne si rizzano in modo automatico, e noi lì, ipnotizzati, a decodificare il logo di questa band ancora così sconosciuta. I quattro brani di Revenant scorrono, ma le cose restano bloccate su quella partenza, non si schiodano più da quella situazione sino a quando sarà il silenzio a proferire il verbo. Eh sì, all’amo ha abboccato un pesce davvero grosso, e mi riempie di gioia poterne parlare così, nel momento della loro partenza.

Un’uscita che vibra di sicurezza, emozione e consapevolezza

Quattro canzoni, 27 minuti: basta questo per incantare. La fisionomia appare “sacra” già sulle note di August Price, poi, se possibile, i Nostri faranno ancora meglio con Starless, una perla che va oltre i comuni sensi catalogabili. Quello che stupisce è la sicurezza di fondo, la loro capacità di far rendere growl e pulito ai massimi livelli. L’entusiasmo come risposta sta lì a ringraziare, e non ci inganniamo come spesso accade: lo comprenderemo quando ci sentiremo straordinariamente a nostro agio. È una sensazione innata, e non serve aggiungere altro per tentare di definirla.

Poi c’è Nibelheim, che incanta e seduce, e Beneath the Cover of Night, pronta a scandire gli ultimi otto minuti di meraviglia con un incedere “metafisico” in puro stato di contemplazione.

Non può esistere esitazione di fronte a questo Revenant. Partecipate dunque, unitevi “festanti” a una nuova e possibile consacrazione.

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Summary

Autoproduzione (2014), Hypnotic Dirge Records, Solitude Productions (2015)

Tracklist:

01. August Price
02. Starless
03. Nibelheim
04. Beneath the Cover of Night

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