Cradle of Filth – Hammer of the Witches: il ritorno capace di folgorare
Cradle of Filth capitolo Hammer of the Witches: alla fine, conta solo il risultato.
Si sa, è inutile immaginarli in altre vesti. Fra alti e bassi, hanno sempre mantenuto fede alla loro particolare impronta sonora, anche a discapito delle sempre più agguerrite legioni che da ere ormai ne reclamano la testa. Dopo il periodo dello “splendore”, è diventato difficile farsene un’idea: se fossero quotati in borsa, sarebbero la classica azione seduttiva ma dai fattori fortemente rischiosi. Non riesco a vederli in altri termini: il loro grafico è imprevedibile. Prima sono tornati a bussare alla grande con Darkly, Darkly, Venus Aversa (disco che guerreggia punto su punto con Hammer of the Witches – io, alla fine, do un punto in più a quest’ultimo), poi sono precipitati malamente con The Manticore and Other Horrors. Cosa bisognava aspettarsi da questo nuovo giro? E la dipartita di Paul Allender, come andava interpretata?
Con il senno di poi, direi bene. Le due nuove chitarre non hanno bisogno di fare molto, a dire il vero: il compito è noto anche ai muri. L’importante è avere il pieno appoggio delle tastiere e, soprattutto, di Dani Filth. Su Hammer of the Witches, questi due fattori funzionano alla perfezione. Dani è in forma smagliante, squittisce e tesse trame limpide, che unite a tastiere “giuste” – mai protagoniste, ma sempre preziose – danno vita a una serie di brani davvero esaltanti. Sì, penso proprio che “esaltazione” sia la parola giusta per riassumere il disco.
Un collage magnetico di oscurità e seduzione
Hammer of the Witches riesce nel compito di apparire semplice, ma è pienamente intriso di quella loro “essenza complicata”. I pezzi non scendono mai sotto i cinque minuti e mantengono quella piacevole idea di “collage” che, quando riesce, vale più di tanti altri stampi. Le canzoni seducono in presa diretta. Anche se con i Cradle ci vogliono sempre alcuni ascolti di rodaggio prima di cementare certe cose, ma stavolta quel tempo lo andremo a dimezzare. Diciamo che esercitano una forza magnetica capace di farci stare bene.
Yours Immortally… inaugura la nuova creazione con passaggi eccitanti, intrecci rapidi ed efficaci, e un refrain scolpito che riesce a intrappolare istantaneamente vecchie sensazioni. Quando un brano riesce loro totalmente ispirato, partoriscono perle come Enshrined in Crematoria: incedere perfetto, magico e magnetico, con un Dani indiavolato e cantilenante, scultore di versi memorabili per i tempi che corrono. Deflowering the Maidenhead, Displeasuring the Goddess conferma che l’avanzamento del disco non è un fuoco di paglia. Il brano è pregno della loro vecchia essenza, romanticherie macabre pronte a catturare gli ignari nella sua tela paziente e ragionata (intrecci vocali rarissimi). Blackest Magick in Practice chiude la prima tornata di brani, riproponendo i loro tipici giri lento-lugubri e un refrain da urlare con ogni forza disponibile.
La fortuna del disco è nei dettagli: e qui brillano tutti
La title track è la più cazzuta. Parliamo del classico pezzo che spesso finiscono col sbagliare, ma fortunatamente la buona sorte globale del disco ci mette del suo, e possiamo tirare un bel sospiro di sollievo. Sarebbe stato un peccato macchiare di striscio tutta questa bontà. Gradita l’introduzione al femminile (poche le sue comparse, ma qui non posso lamentarmi) per Right Wing of the Garden Triptych, antro pericoloso, tortuoso e oscuro, pieno di indovinate e instabili mutazioni (andate a pescare la citazione vocale – ma non solo – della mitica, immortale, ineguagliata Queen of Winter, Throned). The Vampyre at My Side ripropone decisione e coriaceo smalto: il suo ritornello procura palpitazioni e diventerà sicuramente uno dei momenti topici dell’intero disco. Infine, c’è ancora tempo per la dura corazza di Onward Christian Soldiers, suggello di un’opera così quadrata e brillante da lasciarmi di stucco.
Hammer of the Witches: leggerezza e lucidità al servizio dei brani
Alla fine, più che un “ritorno” – c’è sempre questa mania di voler ribadire un epico ritorno agli antichi fasti – lo vedo come un ritrovamento di una freschezza di base più volte smarrita. Questo disco ha molto meno “peso” rispetto a Darkly, Darkly, Venus Aversa, per esempio. La fortuna di Hammer of the Witches non deriva da una precisa atmosfera di fondo (come accadeva nei primi tre capitoli, simili ma dai sapori differenti), ma dalla riuscita di ottimi brani che hanno l’intelligenza di non chiedere nulla in più rispetto a ciò che sono. Anche la struttura del disco – non esagerata, e mai portata ai limiti – fa sicuramente il suo buon lavoro.
Fa sempre piacere ritrovare i Cradle of Filth così, Hammer of the Witches è un colpo di coda inaspettato, un disco che quasi certamente riscriverà le personali classiche di alcuni. Abbiamo capito che con loro conta solo il presente, quindi prendiamo e portiamo a casa. Fra l’altro, la copertina è davvero caruccia e d’impatto.
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76%
Summary
Nuclear Blast Records (2015)
Tracklist:
01. Walpurgis Eve
02. Yours Immortally…
03. Enshrined in Crematoria
04. Deflowering the Maidenhead, Displeasuring the Goddess
05. Blackest Magick in Practice
06. The Monstrous Sabbat (Summoning the Coven)
07. Hammer of the Witches
08. Right Wing of the Garden Triptych
09. The Vampyre at My Side
10. Onward Christian Soldiers
11. Blooding the Hounds of Hell