Cradle of Filth – Darkly, Darkly, Venus Aversa

Nel 2010 i Cradle of Filth spiazzarono un po’ tutti. L’incertezza regnava ancora sovrana, anche a discapito della “ripresa” avvenuta con il disco precedente. Si tornava a premere la tavoletta dell’acceleratore, come ai bei tempi (e forse addirittura di più), con una prova maiuscola, capace di far tornare a battere cuori stanchi, ormai privi di speranze di un certo tipo.

Darkly, Darkly, Venus Aversa arrivava dopo la mezza rinascita avvenuta con Godspeed on the Devil’s Thunder, un lavoro che riusciva a snocciolare diverse canzoni pregevoli, facendo tornare a brillare il monicker dopo i diversi tonfi denominati Nymphetamine e Thornography (quest’ultimo senza dubbio il fanalino di coda della loro discografia). La loro carriera sarebbe stata perfetta se dopo Midian avessimo ottenuto un sequel di questo calibro, e forse anche un progetto ambizioso come Damnation and a Day ne avrebbe in qualche modo giovato.

Si può dire di tutto di questa band ma non si può negare la forte personalità che da sempre la contraddistingue. Dani e soci vari hanno saputo creare un sound indovinato e riconoscibile, poi lì sono rimasti ad orbitare nel corso degli anni (tranne qualche scontata concessione ruffiana), facendo prima bene, poi male-maluccio, e ora di nuovo “splendidamente” bene.

Chi li ha amati in passato potrà tornare a godere delle loro atmosfere lugubri, gotiche e barocche. Potrà tornare a trastullarsi sui tipici strilli (ne fa 4/5 in particolare davvero indovinati) e sulle trasformazioni vocali varie del vecchio (e sempre più spelacchiato) Dani Filth, ritornato qui più in forma che mai, assieme ad una gioia che sembrava ormai sepolta (a tratti sembra davvero di fare ritorno al periodo 1996/2000). Gioia alimentata dalle mai esagerate parti femminili (poche, ben inserite, e di spessore), componente che reputo importantissima per la loro economia.

Bisogna anche dire che il primo approccio con Darkly, Darkly, Venus Aversa è stato sotto certi aspetti freddino. Però si percepiva che qualcosa orbitava nelle viscere e stava vigilando in disparte, aspettando il momento propizio per svelarsi. Ad esempio canzoni come The Nun With the Astral Habit, Retreat of the Sacred Heart (quattro minuti palpitanti), The Spawn of Love and War e Harlot on a Pedestal inizialmente mi hanno lasciato parecchio amaro in bocca, mai poi piano piano si sono insediate velenosamente dentro il mio apparato uditivo fino al meritato trionfo.

Pensandoci bene però è stato così anche per le due anteprime Lilith Immaculate e Forgive Me Father (I Have Sinned), a conti fatti (ovviamente) le più ruffiane e catchy, comunque ben inserite nel contesto (il loro compito lo adempiono tutto). La prima è diventata per me un piccolo classico “vertiginoso”, al suo interno porta un affresco melodico (esattamente poco prima dei tre minuti) che reputo di assoluto splendore. La seconda crea da subito abbastanza sgomento, il ritornello cantato in quel modo roco non è esattamente il massimo, poi però ti ritrovi a cantarlo senza nemmeno rendertene conto, e quelle strofe danzanti fanno discretamente sbavare.

Ciò che rimane mi ha convinto subito invece, magistrale l’impatto della opener The Cult of Venus Aversa e incredibilmente affascinante One Foul Step From the Abyss (l’inizio è l’apoteosi). Canzoni che non ammettono la concessione a minimi respiri (come nel quartetto citato in precedenza fra l’altro) sprigionando una furia naturale e sfarzosa su insidiose partiture di tastiera. Meritano poi speciale menzione l’arcana malinconia di The Persecution Song (graziosa nenia incantatrice), l’atto conclusivo Beyond the Eleventh Hour (chiusura a colpi di pura violenza occulta), e la penetrante Deceiving Eyes (alla quale avrei volentieri tranciato quella grossolana introduzione totalmente fuori posto).

Ciechi estimatori e “grandi scontenti” dovrebbero riunirsi qui per una sorta di tregua, nel punto che vede tornare i Cradle of Filth a seguire orme in precedenza già calpestate (se questo vi sta bene ovviamente, altrimenti seguire l’ora abbondante vi richiederà l’investimento di non pochi sforzi). Se sono stati, o sono fra i vostri amori, Darkly, Darkly, Venus Aversa rappresenterà una decisa esalazione mortifera, una manata su dell’invisibile ma percettibile fuoco bianco (disco riuscitissimo, il voto non deve ingannare ma devo badare ad una scala di valori all’interno della loro discografia).

Il concept questa volta ruota attorno alla figura di Lilith, mentre la copertina svolge perfettamente il proprio compito di macabro e fascinoso impatto, restando, almeno per me, una delle loro migliori fino a questo punto.

  • 75%
    - 75%
75%

Summary

Peaceville Records (2010)

Tracklist:

01. The Cult of Venus Aversa
02. One Foul Step from the Abyss
03. The Nun with the Astral Habit
04. Retreat of the Sacred Heart
05. The Persecution Song
06. Deceiving Eyes
07. Lilith Immaculate
08. The Spawn of Love and War
09. Harlot on a Pedestal
10. Forgive Me Father (I Have Sinned)
11. Beyond Eleventh Hour

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