Recensione: The Doomsayer’s Call dei Coldworker, tra furia e discontinuità
Tornavano per un’ultima volta i death/grindsters Coldworker con il loro terzo disco. Premetto che non conosco le produzioni precedenti e non posso fare i classici paragoni del tipo “meglio o peggio” rispetto al passato. Ma posso senz’altro affermare che The Doomsayer’s Call è la classica mazzata in mezzo alle gengive.
Questo disco, tuttavia, è ben lontano dall’essere perfetto. Non tutti i brani fanno presa allo stesso modo, e il risultato finale purtroppo ne risente abbastanza. È indubbio che i ragazzi sappiano il fatto loro (basta dare un’occhiata ai curriculum dei personaggi coinvolti, che spaziano dai Nasum ai The Project Hate MCMXCIX e Relentless), sia per quanto riguarda l’esecuzione che il songwriting, ma ciò non toglie che a metà disco ci si ritrovi un po’ abbandonati a sé stessi. Si perde la bussola e si fa una fatica matta a ritrovarla. A tratti sembrerà di riuscirci, ma sarà solo per poco. È un continuo saliscendi che porta facilmente allo sfinimento, nonostante – mi ripeto – i Nostri sappiano dove e come mettere le mani.
A New Era apre le danze, poi sarà solo devastazione
C’è furia (tanta e abbondante), qualità e brutalità in ampie dosi. Tolte la prima A New Era (mid tempo curioso, che trovo azzeccato come apertura) e The Walls Of Eryx, saremo invasi da capo a piedi da un vorticante rullio di chitarre e batteria che non smetterà un solo attimo di mietere il proprio raccolto. La produzione è di quelle “che contano”, mentre il reparto vocale brutalizza a dovere le arcigne e dirette strutture costruite per l’occasione. Devo anche confessare che la voce mi procura piccoli spasmi nostalgici, così roca, sporca e velata da quel sapore mistico perfetto.
The Reprobate e The Glass Envelope non perdonano, mentre con Flesh World i Coldworker si mettono a fare un po’ il verso ai Morbid Angel. Murderous invece fa parte di quel gruppetto di canzoni che mi fa storcere leggermente il naso (assieme a The Walls Of Eryx e Becoming The Stench), mentre Pessimist si fa voler bene nella sua inusuale brevità (il cronometro dice 2:51). Monochrome Existence è sicuramente uno dei brani migliori del lotto. Un pezzo che mette in mostra le varie sfaccettature della band, oltre a far sbattere bene bene piedino e testolina. Vacuum Fields è una gradevole parentesi oscura (ottima la sua introduzione), mentre finiscono nel reparto “né carne né pesce” Living Is Suffering, Violent Society (nonostante la notevole aggressività) e The Phantom Carriage.
Riff complessi e omaggi ai giganti del grind
Il riffing spesso evade in situazioni più complicate (o forse è più giusto dire che si complica la vita da solo inutilmente) rispetto ai mostri sacri del genere. Se non l’avete ancora capito, The Doomsayer’s Call guarda in pieno al pubblico di Napalm Death, Terrorizer, Nasum e Lock Up, ed è forse questo a renderne l’ascolto meno fluido e piacevole. Spesso ho pensato che qualche taglio qua e là avrebbe sicuramente giovato al disco, evitando l’evidente zoppicamento che si porta infine dietro.
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60%
Summary
Listenable Records (2012)
Tracklist:
01. A New Era
02. The Reprobate
03. The Glass Envelope
04. Flesh World
05. Murderous
06. Pessimist
07. Monochrome Existence
08. Vacuum Fields
09. Living Is Suffering
10. The Walls of Eryx
11. Violent Society
12. Becoming the Stench
13. The Phantom Carriage