Dopo tre demo (2004, 2007, 2009) il progetto russo Who Dies in Siberian Slush finalmente decolla e piazza nel 2010 il primo passo che realmente conta. Accompagnati da un artwork che reputo vincente ed esplicativo, vengono prodotti dalla sempre vigile Solitude Productions (figuriamoci poi se si lascia sfuggire qualcosa che le nasce in casa).
Per l’occasione sono stati reclutati “growlers” di bands amiche quali Comatose Vigil, Abstract Spirit e Amber Tears, tutti pronti a dare il proprio contributo ad un monolite depressivo di notevole portata. Tuttavia devo anche ammettere di come non si arrivi mai a toccare livelli fortemente speciali, si perde il filo del discorso troppo spesso (potrebbe essere solo una mia sensazione), anche se aldilà di ciò, il disco riesce nel compito di salvarsi grazie a canzoni intense e ben scandite.
L’eccessivo e pericoloso affondamento viene quindi scongiurato per mezzo di composizioni più che sufficienti anche se a conti fatti non così eclatanti. Ce ne fossero comunque di album iniziali del genere, non vorrei con poche parole affossare drasticamente un prodotto che saprà persuadere a modo suo alcuni attenti seguaci del più funereo doom metal.
Produzione e andamento ricordano gruppi appartenenti alla stessa “famiglia” come Revelations Of Rain, Abstract Spirit o On the Edge of the NetherRealm, trovo un piacevole e resistente filo ad unire le loro lente e “zoppicanti” produzioni. Se ormai conoscete ed approvate la scena doom russa penso sia inutile stare a consigliare o meno Вitterness of the Years that are Lost (se così non fosse, lasciate pure perdere, non sarà questo lavoro a farvi cambiare improvvisamente idea), le sue note intrise di tristezza e desolazione sapranno prima convincervi e poi donarvi tre quarti d’ora di “gradevole e pachidermica angoscia”.
Le danze sono aperte da Leave Me (una delle migliori), il giro di tastiera iniziale conferisce da subito una perfetta atmosfera che poi deflagra con l’ingresso di potenti e lentissime chitarre e un cavernoso growl opportunista a traino. The Woman We Are Looking For mette in atto un gradevole gioco di chitarre, una parte pensa a scandire il ritmo mentre l’altra a determinare la melodia portante.
Mobius Ring si ripropone nel clima più statico possibile tramite sicure ed ormai consolidate formule, longeva foschia ed oscurità non potranno che cingere l’inerme ascoltatore. Difficile riuscire a reagire di fronte a tutta questa carica negativa, la cosa migliore sarà quella di concedersi, e cedere alla costante desolazione che puntualmente sgorga fuori dietro ogni nuovo cambio ritmico/melodico (presenti anche se non in maniera eccessiva visto il genere intrapreso). Fra due interludi strumentali sono presenti ancora due mattonate: Testament Of Gumilev e title track, due nenie lugubri e soporifere, ma pur sempre ben interpretate (sarà proprio questo a “salvare” il prodotto dal tracollo).
Вitterness of the Years that are Lost è un album riservato (e schivo), dedicato agli inguaribili e incalliti collezionisti, quelli che si assicurano con gioia ogni nuova entità musicale presente sul globo. Se siete abili nel fagocitare ogni cosa (o quasi), potrà procurarvi quella particolare soddisfazione che solo qualcosa d’altamente underground sa donare. Buoni anche se non impressionanti.
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Riassunto
Solitude Productions (2010)
Tracklist:
01. Leave Me
02. The Woman We Are Looking For
03. Möbius Ring
04. Interlude
05. Завещание Гумилёва (Testament Of Gumilev)
06. An Old Road Through the Snow
07. Bitterness of the Years That Are Lost