The Unguided – Father Shadow

Con i The Unguided ci eravamo lasciati ai tempi di Fragile Immortality (il loro disco più debole per chi scrive), un lavoro che cercava di definire al meglio il sound catchy prodotto con efficacia sul debutto Hell Frost.

Solo due anni dopo Fragile Immortality (si era fatto il 2016) i nostri fecero uscire il capitolo più valido e sfavillante della loro carriera intitolato Lust and Loathing. Il disco era riuscito a reggere abbastanza agilmente gli attacchi di un buon And the Battle Royale, ed è riuscito a mantenere la propria leadership anche adesso, dopo aver dato alle stampe il nuovissimo e pimpante Father Shadow.

Non credo che in tanti avrebbero scommesso sui The Unguided e sul fatto che sarebbero riusciti a portare avanti per così tanto (e con questa freschezza) quel loro sound così particolare e accattivante. Invece devo spezzare una lancia in favore della band dei fratelli Sjunnesson, perché sono riusciti nel tempo a ritagliarsi uno spazio interessante creando dischi simpatici e capaci d’intrattenere al meglio.

Una cosa è certa: il pezzo d’apertura i The Unguided non lo sbaglieranno mai. Ce lo dimostrano ancora una volta con Childhood’s End, canzone praticamente perfetta nell’espletare il loro particolar “pensiero” (il ritornello imprigiona e la produzione attacca il bottone nella retta via).

In confronto a tante altre band si può dire che i The Unguided “miagolino”, però grazie alla mistura con la spiccata componente dolciastra capita che talvolta finiscono per farci credere di pestare più di quello che sta oggettivamente succedendo. E’ questo che mi piace di loro, il fatto di riuscire a scrivere brani avvincenti a ridosso di queste continue onde emotive (chiamiamoli pure sbalzi).

Father Shadow ha le canzoni e una continuità che regge e sottolinea tutta la caparbietà di questi ragazzi pronti a crescere in consapevolezza album dopo album. Le varie Never Yield (qui in particolare reflussi alla Arch Enemy nelle melodie, ma li troveremo anche più avanti), War of Oceans e soprattutto Breach (altro apice assoluto dell’opera con quell’inizio così smuovente) trovano terreno fertile nel mezzo dei duelli vocali tra il “brusco” Richard Sjnunnesson e l’innesto “angelico” -con loro dal 2016- Jonathan Thorpenberg.

Where Love Comes to Die è una ballad zuccherosa pronta a germogliare perfidamente in testa, la giusta canzone per “spaccare” il disco in due e lanciarlo in una seconda parte inaugurata al meglio da Crown Prince Syndrome (tanta garra sostenuto dal solito ritornello all’acqua di rose).

Le seguenti Fate’s Hand (altro refrain che inchioda), Stand Alone Complex, Lance of Longinus, Seth e Gaia non spengono affatto l’entusiasmo facendo sì che il disco arrivi a chiudersi con tensione e voglia di riprendere il viaggio verso nuove storie (poi ci sarebbero i rifacimenti delle note Jailbreak, Denied e Jack of Diamonds dall’era Sonic Syndicate).

Sostenuto da una produzione all’altezza della situazione Father Shadow ci riconsegna i The Unguided pimpanti, in palla e pronti con il loro spirito “commerciale” a nutrire il loro pubblico al meglio delle possibilità.

70%

Summary

Napalm Records (2020)

Tracklist:

 

01. Childhood’s End
02. Never Yield
03. War Of Oceans
04. Breach
05. Where Love Comes To Die
06. Crown Prince Syndrome
07. Fate’s Hand
08. Stand Alone Complex
09. Lance Of Longinus
10. Seth
11. Gaia