A distanza di tre anni dall’ormai penultimo Cobra Speed Venom fanno ritorno gli svedesi The Crown con l’undicesima pillola discografica intitolata Royal Destroyer. L’attuale quintetto, ormai rodato a sufficienza dai diversi anni trascorsi assieme, ci depone in grembo con spudorata schiettezza ed efficace sostanza il migliore disco firmato The Crown dai tempi (altri) di Crowned Unholy.
Su Royal Destroyer finiscono a convergere il tiro abrasivo e micidiale della band con alcune trovate “leziose”, dal taglio innovativo che finiscono per abbellire un percorso che forse poteva finire ad impantanarsi su altre acque. Trovo logico giunti a questo punto variare per quanto possibile certe manovre, perché quando spingi con quella rudezza per anni lungo nuovi ed efferati dischi, ne devi avere di creatività per non finire a “bollire” il tutto ogni volta.
Un Royal Destroyer i The Crown devono averlo discusso a lungo, e gira che ti rigira tutto finisce per ripagarti e funzionare a meraviglia. Si sente il rodaggio avviato, partendo dai membri più “giovani” come il chitarrista Robin Sörqvist (in pianta stabile dal 2013) e il batterista Henrik Axelsson (lui dal 2016), arrivando sino al storico tris Olsfelt/Tervonen/Lindstrand che di certo non ha bisogno di descrizioni.
Si avverte finalmente dopo anni l’ambizione sopra un disco The Crown, ambizione che però non significa necessariamente evoluzione (dormano sonni tranquilli i puristi, l’opener Baptized in Violence lungo il suo esile minuto rafforza tale concetto). Loro sono sempre quelli e certe bordate sonore lo testimoniamo – con voglia, fattore importantissimo- ancor oggi molto bene.
Let the Hammering Begin! e l’oleoso anthem Motordeath spargono il verbo della band con una garra dannata, i The Crown con queste due schegge (divise equamente in fase di scrittura: la prima di Olsfelt, la seconda di Tervonen) sembrano uscire affamati, liberati da una lunga prigionia, pronti ad azzannare tutto e tutti.
Ultra Faust ti fa chiedere come si possa reggere una mazzata così intensa per sei lunghi minuti mentre Glorious Hades ti squarcia con ritmo, melodia ed interpretazione (applausi a Sir Lindstrand che si fa salire di tutto dalla gola), andando praticamente a generare un epico, gradito e assordante mezzo tempo. La comprensione del linguaggio The Crown inizia ad essere familiare a Robin Sörqvist che scrive prima la ficcante e melodica Full Metal Justice e poi una variegata e solida Devoid of Light.
Scandinavian Satan è il breve marchio death’n’roll and punk, un classicismo brutale espresso a dovere che sorregge l’album e lo traghetta verso un’ultima parte non esente da colpi di scena. Già Devoid of Light cerca a suo modo di stupire, ma saranno le successive We Drift On e Beyond the Frail (dal riffing emergono pure cose alla Dark Tranquillity) a determinare una spaccatura netta e devo dire pure persuasiva. Entrambe portate dalla penna di Tervonen agiscono larghe e quiete (soprattutto We Drift On potrà far storcere diversi nasi, estraete gli accendini!), lasciando finire Royal Destroyer in modo tanto imprevisto quanto impensabile.
Con la giusta fiducia i The Crown si stanno riprendendo lo scettro che apparteneva loro. Siamo distanti dai valori passati, ma è anche innegabile che stiamo assistendo ad interessanti passi fatti nella giusta direzione. Disco dopo disco, nuovamente pieni e convincenti.
Summary
Metal Blade Records (2021)
Tracklist:
01. Baptized In Violence
02. Let The Hammering Begin!
03. Motordeath
04. Ultra Faust
05. Glorious Hades
06. Full Metal Justice
07. Scandinavian Satan
08. Devoid Of Light
09. We Drift On
10. Beyond The Frail