Bisogna calarsi in diverse situazione per cercare di capire l’esatto valore dell’unico lavoro mai prodotto dagli olandesi Spina Bifida.
Timidi abbagli d’un tempo? Oppure capitolo giustamente andato dimenticato per finire oggetto dei feticisti del genere e della loro vanitosa voglia di esibire il nome più nascosto possibile?
Ho parecchi dubbi a riguardo lo ammetto, a volte penso una cosa, a volte l’opposto, di certo bisogna tenere conto di come il prodotto appartenga ad un periodo per niente paragonabile a quello di oggi, e di rimando su cosa siano diventate le esigenze attuali (in pratica potrà interessare a chi se lo era perso o a chi pratica tutt’oggi archeologia musicale).
Si trattava delle prime uscite della Adipocere Records, l’etichetta francese non andava troppo per il sottile (basta che andiate a vedere le loro prime produzioni, troverete anche un certo Dark Metal di marca Bethlehem giusto per dirne uno a tono con Ziyadah) nel produrre materiale realmente underground e privo del minimo approccio favorevole nei confronti dell’essere umano. Ma nonostante queste argomentazioni il dubbio rimane, Ziyadah è bello, è capace di farti riassaporare momenti ormai sopiti, però allo stesso tempo ti mostra una certa stanchezza sul lungo percorso, ci sfianca e soffoca attraverso i suoi lenti rintocchi, così profondi da entrare nel midollo.
Forse non era il caso di ristamparlo (tutti questi discorsi alimentano tale pensiero), d’altronde il “mercato nero” opera sempre bene, e se uno ricerca una cosa bene o male riesce a recuperarla presto o tardi che sia. Avrebbe avuto più senso se i Nostri se ne fossero usciti con un album nuovo di zecca, ma questa sembra una possibilità remota (ma mai dire mai, tutto potrebbe venir riletto al contrario).
La ristampa della Memento Mori include anche la presenza del demo Symphony of Indictment, ovvero la versione ancor più grezza e spartana di alcuni brani successivamente inclusi nel full-lenght (ascoltarseli in separata sede è altamente consigliabile). Death doom metal sepolcrale che rifugge da facili melodie, un modo di porsi abbastanza classico nei primi anni ’90, dove le prime fusioni fra death e doom vertevano a pelle nei confronti della prima corrente.
Le canzoni presenti in Ziyadah non ti vengono mai incontro scodinzolanti, dovrà invece presentarsi la situazione opposta, saremo noi ascoltatori a dover fare lo sforzo maggiore per poter penetrare questa superficie così arcigna e priva di ogni sentimentalismo. Le canzoni piovono in successione grazie ad una durata contenuta (la più lunga è Individual e non arriva nemmeno a sei minuti) ma portano in dotazione spine ed aculei, l’approccio non sarà dei più semplici, anche se sarà solamente il primo passo, perché poi dovrete in ogni caso trovare un modo per conviverci.
Suonavano mortiferi, con un basso in qualità di “ombra spettrale” e delle chitarre pronte a tracciare solchi d’incandescente putridume, sopra di esse interagiva un growl esplicativo, perfetto interprete delle malefatte che si compiono abitudinariamente nell’aldilà.
Con Ziyadah mi è impossibile arrivare a conclusioni, la storia ha già voltato le spalle a questa creatura così come le ha rivolte a tanti piccoli/grandi capolavori rimasti insabbiati nell’arco di mini-ere. I completisti saranno soddisfatti, gli altri forse un po’ meno, eppure è solo la storia che si ripete, a cambiare è solo la quantità degli spettatori.
Riassunto
Adipocere Records (1993), Memento Mori (2014)
Tracklist:
01. Intro
02. Witchfire
03. Reverse
04. Purest Queen
05. Individual
06. Aimless
07. Götterdämmerung
08. Verdict
09. Die
10. Outro