Un progetto che vagava e vagava in balia delle onde, in attesa di cogliere il momento -e un tragitto- che ha dapprima portato un ep di tre brani (VI) uscito nel 2016 e poi, dopo appena un anno, il qui protagonista Pathogenisis.
Gli svedesi V iniziano subito con il botto (spicca senza dubbio il nome di Daniel Liljekvist alla batteria, affiancato a quelli delle due chitarre Jonas Gryth e Andreas Baier (anche alla voce) e Jonas Kindlund al basso) proponendoci una “pastura” sludge/post metal dalle sfumature corrosive e composta da idee trainanti, in grado di adoperare la forza come qualità di prezioso puntello finale e via via sempre più decisivo.
Pathogenisis si beve liscio, crudo, e senza proferire alcun tentennamento. I suoi quaranta minuti scorrono in totale piacevolezza, levigati e opportunamente raschiati su doti intuitive, giusto per poter raggiungere un’atmosfera circoscritta, solo al suo interno ricolma di fumo. In tal modo saremo facilitati nel compito del “non farci sfuggire nulla”, in grado di afferrare ogni singolo momento in completa intimità, accompagnati da un cantato lacerante (ma che a tratti offre respiri), movimenti ciondolanti e improvvise asperità del tutto penetranti (soprattutto quando ci si affaccia sul versante classico del doom).
Sono proprio lavori come Pathogenisis che rendono il compito di chi si diletta a scribacchiare molto difficile. I V sono difatti il classico gruppo che preferisce “parlare dentro” spiegando ben poco alla forma esteriore, è un qualcosa di apparentemente scarno, rivolto al solo involucro, perché a conti fatti vivremo diverse situazioni e subbugli interiori lasciati da colpi invisibili. E’ musica da accompagnamento che però tenta una sorta di subdola intrusione senza dare troppo dell’occhio, cercando in continuazione rifugi per mezzo di momenti ora pungenti, ora quasi freddi e dall’impronta distaccata.
La qualità ci viene consegnata a casa in scioltezza, i V non cercano di calcare al momento il tasto della differenziazione limitandosi a svolgere un compito egregio con le qualità che sono state loro fornite. Il risultato è questo, un disco che riesce a produrre concreto magnetismo magari non così fermamente cercato alla radice.
Ed è bello così, sarà un po’ come vivere dentro una bolla alimentata da una costante sensazione di tepore, cullati dentro una stanza dove le certezze potrebbero tanto sussistere come cancellarsi dopo pochi istanti di assoluta convinzione.
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74%
Summary
Suicide Records (2017)
Tracklist:
01. Souls of the Nearly Departed
02. At the End of Your Time
03. Pathogenisis
04. Perfect Predator Pattern
05. Suspended Animation
06. The Order