E’ una produzione meccanica, puntellata al millimetro, questa la prima cosa pronta ad emergere distintamente da acque torbide ma in qualche modo affascinanti, una massa pronta a modificare il proprio aspetto attraverso piccoli ma letali accorgimenti.
Un occhio è pronto a guardare sempre verso il nord (per melodie e non solo), mentre l’altro cerca di ramificare nella tipica ossessività deathcore, è così che gli Under the Ocean (ex Firstborn Underocean) decidono mirabilmente di assalirci. Senza esclusione di colpi ci trattengono il respiro (o tentano di affogarci, fate voi) per venti minuti, quelli necessari per buttare giù la pillola dal nome Dark Waters, primo passo discografico di questo nuovo opprimente monicker.
Sicuramente la formula non vi apparirà nuova, i ragazzi non brillano di certo in personalità o cose limitrofe, quindi, se da sempre certi problemi a familiarizzare vi attanagliano senza alcun rimedio (o ancor peggio il medico di turno è stufo di vedere la vostra faccia), sarà meglio correre ai ripari e non fare -in questo caso- nemmeno lo sforzo dell’approccio, che si sa, durante questi tempi è davvero già tanta cosa.
Dark Waters prevede solamente quattro canzoni senza grosse pretese, però non manca la voglia e una cura dei particolari, e forse non è nemmeno importante un giudizio in questo caso, l’estrazione di un voto di routine potrebbe solamente danneggiare la band (non importa se in meglio o in peggio), al momento ciò che conta veramente è lo smistamento del nome, usare l’ep come unica e reale rampa di lancio, per farlo gli Under the Ocean usano il pregio della professionalità, ma questa non è legata ossessivamente al suo significato, perché si cerca comunque una evasione negativa, l’escamotage reattivo, capace di farti ricredere riguardo una o più parti grazie all’uso di rinnovati punti di vista (come se ci trovassimo nei panni di momentanee, curiose vedette).
Così si andrà a formare uno strano feeling con il prodotto, una specie di scoppio ritardato dai contorni incomprensibili, una tecnica che nemmeno nei cosiddetti momenti di transizione giunge ad intorpidire.
Grosso, grasso ed imponente il sound (arerà discretamente bene tutta l’area a voi circostante), le canzoni sono abili a rigenerare continuamente, a volte è sufficiente un piccolo accorgimento per modificarne le coordinate, perfetto esempio di ciò che sto cercando di dire è racchiuso nell’opener The Leper Town, capace di terminare anche su nevrotiche melodie. I restanti tre pezzi è come se si facessero il verso lanciandosi vicendevolmente una qualche sorta di richiamo, si coalizzano così fra di loro aiutando di fatto più l’insieme che loro stessi (strano a dirsi ma fattibile).
Bella la copertina, pronta a conferire ulteriore profondità ed inquietudine a quella vagamente accennata dagli strumenti (via da battere per il futuro? chissà!). Bravi anche per saper scorticare tramite voce e momenti chiusi ma comunque affilati, frangenti dove arrivano a dare sfogo anche ai più celati demoni interiori.
Dark Waters è un ep sul quale scommettere, un bel pezzo targato 2014 per la nostra povera ed arida Italia.
Riassunto
Drown Within Records (2014)
Tracklist:
01. The Leper Town
02. The Bell Tower
03. The Riverbank
04. The Creeper