Tristania – Rubicon

Con il presente disco comincia ufficialmente la fase tre per i Tristania, certamente la più difficile da digerire, quella del doppio cambio vocale, fuori Vibeke Stene e Osten Bergoy (comunque ancora presente su qualche parte), dentro Mariangela Demurtas e Kjetil Nordhus (già visto in Trail Of Tears, Green Carnation e In Vain).

La curiosità era su livelli discretamente alti, mentre molte persone stavano solo aspettando il nuovo battesimo per poter decretare la morte definitiva del monicker. Devo ammetterlo, fra questi ultimi c’ero anche io, la nuova scelta femminile nonostante l’indubbia preparazione non mi faceva impazzire, in più la chiara direzione che avrebbe preso il loro sound non lasciava presagire niente di buono. In parte -devo dire- sono stato profeta, la copertina, la scelta di una cantante italiana e un sound pendente verso il lato “easy” lasciava pensare ad un tentativo di (s)vendita accomunabile al successo avuto dai Lacuna Coil. E difatti su diversi passaggi le due formazioni arrivano a sfiorarsi in termini di impostazione, la grossa differenza l’avremo invece proprio dal versante della materia vocale.

C’è comunque da dire che un certo modo di fare tipicamente Tristania permane (e difficilmente andrà mai via), certo non si parla di termini equivalenti ai primi due masterpiece, ma un lieve continuum con le ultime release lo si avverte distintamente in ogni caso. Lo fanno intendere alcune situazioni introspettive, tipici stacchi riscontrabili soprattutto in alcune strofe e pre-ritornelli (la musica in ogni caso cerca di allargare il più possibile gli orizzonti rispetto a prima).

Il nodo principale era constatare e capire l’abilità di Mariangela (penso che su Kjetil non ci siano mai stati dubbi) e bisogna ammettere che alla fine la nostra compatriota il suo dovere lo svolge più che bene. La scelta operata assomiglia molto a quella fatta dai Nightwish, via le parti operistiche e dentro l’immediatezza a palate. Dimenticate quindi pathos ed arcana emozione, ora i Tristania aggrediscono tramite brani diretti e dal ritornello di facile presa. La Demurtas sembra muoversi a suo agio fra le note, dimostrando di essere una singer dall’indubbia versatilità, la sua voce evolve diventando perfettamente calzante con il brano di turno. La sua prestazione si divide ottimamente fra aggressività e dolcezza.

Si può guardare a Rubicon come a un disco riuscito (poi bisogna sempre vedere cosa si cerca e il lato delle aspettative), anche se alla fine non tutto risulta estremamente positivo, ma per questa volta -a causa di tale rivoluzione- mi sento di dire che va bene così. In fondo se lo consideriamo (come sarebbe forse più giusto) come esordio discografico ci sarebbe anche da sperare bene per il futuro. E’ solamente un nuovo inizio, e se sarà coltivato a dovere potrà togliere a questi ragazzi rinnovate soddisfazioni (sempre che non giungano a scadere nella più penosa banalità ovvio).

Il disco poggia le fondamenta su quattro brani a mia vista superiori al resto. Se questa qualità verrà mantenuta per più tempo in un prossimo futuro si potrà sperare di assistere all’arrivo di un nuovo signor disco. I brani in questione sono l’opener Year of the Rat, riuscitissima grazie al suo ritornello e alla sua trascinante carica da hit, l’introspettiva Protection (forse la più Tristania nel DNA del lotto, a tratti quasi ti immagini la voce di Vibeke su certe metriche), la romantica Amnesia capace di intarsiare versi perfetti accompagnati da un violino che sul finale fa sognare squisitamente (si aprono squarci, reminiscenze), e la conclusiva Illumination, atmosferica, avvolgente nei suoi duetti, lunga ma senza apparire mai prolissa.

Canzoni da dimenticare sono invece Magical Fix, e Vulture (al quale aggiungo anche la bonus The Emerald Piper, decisamente meglio Patriot Games, la mesmerizzante The Passing ed Exile), classici dazi da pagare per l’intraprendenza manifestata o ancor meglio, “solo” classici incidenti di percorso.

Non resta da vedere se la nuova veste verrà premiata o meno, chi pensava al completo tracollo forse potrà in parte ricredersi. Chi invece aspettava in mezzo alle ragnatele un ritorno al passato potrà tranquillamente continuare a nutrirsi assieme ai fidi ragni.

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Riassunto

Napalm Records (2010)

Tracklist:

01. Year of the Rat
02. Protection
03. Patriot Games
04. The Passing
05. Exile
06. Sirens
07. The Emerald Piper (Bonus Track)
08. Vulture
09. Amnesia
10. Magical Fix
11. Illumination