Avendo bazzicato per anni nella “scena che conta” del metallo ligure, fondata prevalentemente su rapporti sociali (?!?) frivoli ed alcoolicamente opportunistici, sullo scenario di un ridicolo provincialismo che va a sfociare in altrettanta patetica ghettizzazione autoreferenziale, posso tranquillamente dire di non aver mai nutrito particolare stima per il personaggio di Trevor.
Nulla di personale, sia ben chiaro, stiamo parlando di un bonaccione misantropo, amante della natura e degli animali, della topa e della birra, ultrà genoano dichiarato… e chi più ne ha più ne metta, ma a livello artistico -se così possiamo chiamarlo- oggettivamente prossimo allo zero.
Pompato oltremisura fin dal suo esordio nella Talamanca Associati (quest’ultimo sì grande musicista, a cui va riconosciuto il merito di aver sdoganato in Liguria, tramite le sue composizioni, immortali gruppi quali Annihilator, Coroner, Nocturnus ed Atheist; ma anche la croce di aver alimentato una generazione di masturbatori dello strumento, “tutto tecnica-zero sentimento”), protagonista di indimenticabili figure di merda nazional-popolari che dovrebbero fare tremare di imbarazzo chi davvero crede in questo universo musicale (… qualcuno ricorda l’introvabile intervista di fine anni novanta negli studi della futura radical-renzie Daria Bignardi? ), surclassato- sia dal punto di vista lirico che da quello squisitamente attitudinale- dall’ ex frontman Zanna (Raza de Odio, Barche a Torsio), il nostro Nocturno Culto di Rossiglione (sic!) ha il solo merito di aver contribuito, seppur in minima parte, alla stesura di Crust: buonissimo lavoro anche se non privo di difetti (vedi produzione sottotono ed un’eccessiva vena Meshuggahiana, per la serie: “la personalità non la si può acquistare coi quattrini” ) ma, sostanzialmente, vera pietra tombale dell’esperienza Sadist.
Al giorno d’oggi, cosa ormai tristemente risaputa, cani e porci si sentono in dovere di esprimere il proprio ego tramite pattumiera stampata od improbabili progetti solisti, quindi -con tale ‘invidiabile’ curriculum alle spalle- non può certo stupire il presente Road To Nowhere.
No, purtroppo i seminali Talking Heads non c’entrano una mazza, qui troveremo una specie di tributo al vecchio hard rock con sporadiche venature country/blues, che, di per se, non sarebbe una cosa malvagia (alzi la mano chi di voi non ha mai avuto potenti erezioni sotto il riff della trascinante Jailbreak?!).
Il problema è che questo genere va suonato con tiro e passione, feeling, sangue e merda, altrimenti si rischia di omaggiare chi – negli corso degli anni- è divenuto tristemente la caricatura di se stesso. Ed in questo i nostri Timberwolves non eccellono, usando un cordiale eufemismo: carisma pressoché inesistente (nel videoclip di Burn at Sunrise il corpulento singer, atteggiandosi da uomo che non deve chiedere mai, ricorda goffamente uno di quei redneck reazionari sparring partner dei telefilm di Lorenzo Lamas e Chuck Norris) linee vocali piatte ed impersonali, riff scolastici e produzione che non riesce a risollevare un prodotto noioso, scarsamente longevo, che risuonerà esclusivamente nelle case dei soliti imperterriti sostenitori della scena (?!?) locale.
Giudizio grossomodo confermato pure da alcune (..une, une..) testate che vanno per la maggiore -chiamiamole “professionali”- le quali, a questo giro, non riescono a barcamenarsi nemmeno dando sfoggio alla consueta retorica paraculo-diplomatica tanto cara a questa società condotta vergognosamente allo sfacelo, di cui tali arditi lupacchiotti sono soltanto l’ennesima inconsapevole vittima.
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Riassunto
Nadir Music (2018)
01. From Hell to Heaven Ice
02. Burn at Sunrise
03. Red Beer
04. Black Forest
05. Bath Number 666
06. Spiritual Leader
07. Raoadsied Motel
08. Wings of Fire
09. Lake Sleeping Dragon
10. Unforgivable Mistake