Terrorizer – Hordes of Zombies: un ritorno tra luci e ombre
Secondo ritorno da parte dei Terrorizer e nuovo disco difficile da inquadrare. L’assenza di Jesse Pintado – c’è da dirlo – si fa sentire abbastanza. Ma è anche vero che nemmeno Darker Days Ahead faceva provare quelle sensazioni covate segretamente per lunghi anni.
È difficile – in questo caso soprattutto ingombrante – tornare dopo tantissimo tempo, a maggior ragione se si è i padri di un capolavoro di proporzioni immense come World Downfall. Il via alla classica lotta già persa in partenza è presto fatto.
Dall’antica line-up torna invece David Vincent in veste di “eterno incompiuto”. Anche se in maniera minore rispetto a quanto fatto con i Morbid Angel, il suo come back alimentava speranze (seppur contenute) per qualcosa di altamente memorabile. Purtroppo – mi duole dirlo – Hordes of Zombies tanto speciale alla fine non riesce a esserlo. I Terrorizer martoriano e devastano senza sosta, ma il loro death/grind bene o male risulta stagnante e incapace di togliersi di dosso alcune importanti (per la vitalità) ragnatele.
La linea sottile tra sufficienza e mediocrità
Il problema è che il compitino risulta proprio per ciò che esattamente è: un disco suonato da professionisti e con un suono da professionisti (ma con ben poca anima). È la freddezza a lasciarci basiti, il feeling non sembra trovare casa, spuntando solamente di tanto in tanto (nel mio caso nel quartetto formato da Hordes of Zombies, Ignorance and Apathy, State of Mind e A Dying Breed), e in maniera frammentaria, in un inutile e ripetuto tuffarsi in quel grigiore stantio che mai vorremmo vivere in certi casi. Sono certo che ognuno avrà le sue canzoni preferite fra le molte qui proposte (14 pezzi per un totale di 38 minuti). Ma in fondo tutta la release resta a galleggiare su una stentata linea di confine che in più di un caso non riesce a “fingere” l’apparente e, forse per certi versi, meritata sufficienza.
Tra le cose certamente positive c’è da mettere il ritorno più in forma che mai di Pete Sandoval e una copertina da vero piacere per gli occhi. Nonostante reputi l’ascolto al di sotto di quel minimo standard, non mi è ben chiara l’identità del target al quale dovrà puntare l’album. C’è chi si accontenterà del famoso ri-ritorno e trarrà giovamento al solo pensiero (non importa se il materiale sarà sotto il livello sperato), e c’è chi invece lo reputerà solo un modo per arrivare meglio a fine mese per quel “manipolo di vecchietti”. In questi casi, “il trucco” del moniker noto potrà favorire lo scatto di particolari ingranaggi.
Tra freddezza e nostalgia: una scelta da fare
Io oscillo stancamente fra i due pensieri. Di certo è preoccupante il calo d’entusiasmo che mi attanaglia nel bel mezzo del disco. E forse la colpa è anche della produzione che, nella sua “perfetta perfezione”, tende ad azzerare le truci e violente emozioni.
Non resta che dire “fate la vostra scelta”. I fattori in gioco, d’altronde, dovrebbero essere ben chiari.
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55%
Riassunto
Season of Mist (2012)
Tracklist:
01. Intro
02. Hordes Of Zombies
03. Ignorance And Apathy
04. Subterfuge
05. Evolving Era
06. Radiation Syndrome
07. Flesh To Dust
08. Generation Chaos
09. Broken Mirrors
10. Prospect Of Oblivion
11. Malevolent Ghosts
12. Forward To Annihilation
13. State Of Mind
14. A Dying Breed